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Vita Quotidiana degli Aztechi

Vita Quotidiana degli Aztechi

Autore/i: Soustelle Jacques

Editore: Il Saggiatore

introduzione dell’autore, traduzione di Paola Argan.

pp. 364, 38 fotografie e una carta geografica b/n, Milano

In due secoli dei nostri (quattro dei loro, che li contavano a periodi di 52 anni) gli Aztechi fondarono una civiltà delle più invidiabili, la portarono all’apogeo, furono travolti nella sua totale distruzione. I Mexica, o Azteca (da Az-tlán, mitico punto di partenza delle loro migrazioni) furono gli ultimi a riversarsi nella Grande Vallata, dopo la caduta dei Toltechi. Dovettero stanziarsi sulla palude, crearsi un po’ di suolo, accumulando la melma del fondo su zattere e tralicci. Era il 1325, e al principio del secolo XVI ecco come si presentava Mexico-Te-nochtitlán, la loro capitale : «Palazzi, piramidi, strade sopraelevate attraverso laghi, statue di pietra e maschere di turchese, cortei splendenti di gioielli e di pennacchi» e i giardini galleggianti e quelli pensili, e gli animali d’oro e di gemme, e i mosaici di piume, e per le strade la policromia semovente dei mantelli multicolori. Così la vide Hernán Cortés, quando vi giunse come ospite dell’imperatore Motecuhzo-ma II. Dopo il 1521 non ne rimaneva più traccia : i Conquistadores l’avevano letteralmente cancellata dalla terra. Il paradosso di un’archeologia chiamata a risuscitare uno ieri così vicino, diventa doppiamente impossibile, per la scomparsa pressoché completa di vestigi materiali. In compenso, rimangono i documenti scritti. Se degli Aztechi non vediamo quasi più nulla, riusciamo tuttavia a sapere quasi tutto. E più ancora che rievocarli, questo libro li può narrare. La loro «vita quotidiana» si anima davanti a noi come il romanzo di una loro giornata. L’uomo medio, statistico, che di solito è il protagonista anonimo di questo genere di libri, qui cede spesso la ribalta a personaggi in carne e ossa, con tanto di nome, che trasformano le notizie sui costumi, le leggi, gli istituti, la religione, le dottrine, le scienze, la magia in altrettanti fatti e aneddoti personali. Ma il lettore soggiacerà anche alla tentazione, ancora più allettante, di trasfigurare questo romanzo dal vero in un romanzo esemplare e insieme utopistico : quasi che quel mondo, per molti versi perfetto, possa servire da modello per risanare tanti mali del nostro. Quale riformatore non sognerebbe una società dove la divisione in classi non è che divisione del lavoro, e gli schiavi (come allora si chiamavano) sono praticamente uomini liberi,
mai defraudati della loro dignità? Dove l’assillo del bisogno è sparito, la terra è proprietà collettiva e la parte che ne compete a ciascuno, secondo le sue mansioni, è concessa in usufrutto? Chi non si augurerebbe, per una migliore convivenza, il galateo della misura, praticato dai sobri e decorosi uomini, che qui vediamo vivere nel quasi favoloso cristallo di un’aria limpida, propizia, primaverile? («Non lanciarti su una donna come il cane sul cibo», «Serba un tono moderato, né alto né basso, che la tua parola sia serena», «Se ascolti o vedi qualche cosa particolarmente cattiva, dissimula e taci», ecc.) Solo la religione sacrificale, collo sgomentevole fanatismo degli immolatori e delle vittime, è la grande ombra di quel mondo meraviglioso. A parte le favole cosmogoniche che vedevano nel sangue la forza motrice del sole e del tempo, e perciò ne chiedevano l’offerta, riti così implacabili e ossessivi sembrano rispondere «all’instabilità di un mondo continuamente minacciato» : idea contraddittoria al modo di vita nobile e sereno, che quella civiltà era riuscita a instaurare. Ma forse le superstizioni, i miti di una distruzione universale sempre in agguato, erano inconsci presagi di quello che sarebbe realmente accaduto all’arrivo degli Spagnoli.

Forse più di un lettore penserà a un’omonimia tra il Jacques Soustelle, reso famoso dalla politica francese anche recente, e l’autore di questo libro. Si tratta invece della stessa persona, alla quale vanno riconosciuti innegabili meriti scientifici e letterari. Nato nel 1912, Soustelle ha studiato filosofia all’Ecole Normale Supérieure per dedicarsi poi all’etnologia. Missioni scientifiche nell’America Latina dal 1932 al 1935. Dottore alla Sorbonne nel 1937, è chiamato al Musée de l’Homme come Assistente Direttore. Intensa attività di studi e ricerche, partecipazione a congressi internazionali, ricca produzione di libri e di saggi apparsi su riviste specializzate. Nel 1938-39, corsi al Collège de France e all’Ecole Coloniale, è stato professore di sociologia all’Ecole des Hautes Etudes.

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