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Vietnam, la Pace Proibita

Vietnam, la Pace Proibita

Un monaco buddista respinge l’alternativa o comunismo o guerra, perchè ritiene impossibile la vittoria di una parte

Autore/i: Thich Nhat Hanh

Editore: Vallecchi Editore

prefazione e messaggio di Thomas Merton, traduzione italiana a cura di Rita Imbellone e del movimento per la riconciliazione – Comitato Internazionale di coscienza per il Vietnam.

pp. 168, Firenze

Queste pagine rivoluzionarie non mancheranno di turbare molti lettori. In tal caso, il meno che possiamo dire è che essi hanno bisogno di tale turbamento. Dobbiamo tutti essere grati alla prima chiara articolazione di opinioni e rivendicazione di diritti da noi sinora totalmente ignorati. Sono le opinioni ed i diritti di masse di persone che non conosciamo, che non abbiamo mai tentato di comprendere, per le quali non abbiamo mai provato reale interesse, ed i cui interessi reputiamo di poter difendere esclusivamente ricorrendo all’impiego delle armi su vasta scala, anche a rischio di una terza guerra mondiale. Prepariamoci dunque ad ascoltare pazientemente uno di loro, che ha la bontà di dirci come i nostri sforzi non gli sembrino perfettamente coerenti.
Questa è l’essenza del suo messaggio: «Perseverando sulla via che avete intrapreso, non farete che creare comunisti sempre più numerosi non solo nel Vietnam, ma in tutta l’Asia, l’Africa e l’America Latina. Pensateci bene finché ne avete il tempo!».
Purché non sia già troppo tardi.
Mio fratello Nhat Hanh appartiene al meno «politico» di tutti i movimenti del Vietnam. Non è strettamente legato ai buddisti che tentano manipolazioni politiche per salvare il loro paese. Non è affatto un comunista.
Suscita profonda ostilità fra i Vietcong. Non vuol saperne del governo costituito, che lo detesta e lo tiene in sospetto. Rappresenta i giovani, gli inermi, le nuove leve che hanno tutti contro, salvo i contadini ed i poveri, coi quali faticano. Nhat Hanh è veramente il portavoce del popolo vietnamita, se ancora possa dirsi che sopravvive un «popolo», nel Vietnam.
Ho detto mio fratello Nhat Hanh, ed è vero. Siamo ambedue monaci, abbiamo vissuto Io stesso numero di anni di vita monastica. Siamo ambedue poeti. Ho molto in comune con lui, ben più che con molti americani, e non esito ad affermarlo. È essenziale ammettere questi legami. Sono i legami di una nuova solidarietà e di una nuova fraternità che va delineandosi nei cinque continenti, al di sopra delle frontiere politiche, religiose, culturali, per congiungere i giovani di ogni paese in qualcosa che è più concreto di un ideale e più vivace di un programma. Questa unità dei giovani è la sola speranza del mondo. (Thomas Merton)

Forse abbiamo già dimenticato del tutto l’emozione suscitata dalle notizie dei buddisti che si bruciavano per le strade di Saigon. Questo libro inquietante, estremamente lucido e pacato, per nulla frutto di esaltazione misticizzante, offre un quadro della situazione vietnamita, visto con occhi totalmente vietnamiti, liberi dalle ombre delle opposte propagande. Ed è un quadro che – aiutandoci a comprendere quei terribili sacrifici – non corrisponde in nessun modo agli schemi di solito considerati soddisfacenti e persuasivi. Una prima parte fa una rapidissima sintesi storica delle varie forze culturali e ideali attive nel Vietnam: il buddismo, il cattolicesimo, il nazionalismo e il comunismo. Nella seconda viene esposta una diagnosi sul conflitto attuale, molto severa nei confronti dell’America e dell’Occidente in genere. Nhat Hanh spiega le ragioni della crescente barriera psicologica – incomprensione spinta fino all’odio – fra i contadini vietnamiti e i soldati americani; e come la tremenda. spirale di errori politici e militari abbia permesso ai comunisti di monopolizzare il sentimento nazionale di opposizione allo straniero, il quale diventa sempre più «invasore» e sempre meno «salvatore».
Nel Vietnam del Sud il conformismo governativo—americano non consente di parlare di pace se non in termini di vittoria totale; mentre la realtà guardata senza paraocchi esclude, secondo Nhat Hanh, che una vittoria totale di uno dei due contendenti sia da considerare possibile. Per questo egli sostiene la necessità di battere una via diversa, quella che passa non da Hanoi o da Pechino ma attraverso il cuore dei contadini vietnamiti; una via che riesca a superare l’alternativa o comunismo o proseguimento della guerra, cioè sterminio dell’intero popolo. Uno dei fattori che possono contribuire all’apertura di questa via diversa, pensa Nhat Hanh, va riconosciuto nella capacità di «rivoluzione interna» del buddismo e del cattolicesimo.
Thomas Merton apre e chiude il libro, con la prefazione e con un messaggio («Nhat Hanh è mio fratello») nel quale invoca la salvezza e la libertà del confratello buddista, monaco come lui, quando tornerà in patria.

Thich Nhat Hanh è nato nel Vietnam centrale più di 40 anni fa. Entrò giovane in monastero, studiò all’Università di Saigon e all’Istituto Buddista. Fra il 1961 e il 1963 ha insegnato in alcune Università degli Stati Uniti, fra cui la Columbia University a New York. Poeta, professore di filosofia delle religioni, fondatore (insieme ad altri confratelli) dell’Università buddista Van Hanh a Saigon e direttore della Scuola di servizio sociale, autore di varie opere, venne chiamato nella primavera 1966 dalla Carnell University per una serie di conferenze. Il nuovo soggiorno negli Stati Uniti si prolungò poi in un giro nei principali paesi europei. Il 13 luglio 1966 venne ricevuto in udienza da Paolo VI. Le idee di Thich Nhat Hanh – sostenute in frequenti occasioni pubbliche – si scostano notevolmente da quelle del governo di Saigon: per questo, cioè per i pericoli che egli vi incontrerebbe, il monaco ha dovuto rinunciare, almeno per ora, a tornare in patria. Attualmente vive a Parigi dove è la sede centrale della Associazione dei buddisti vietnamiti di oltremare.

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