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Risposta a Giobbe

Risposta a Giobbe

Titolo originale: Antwort auf Hiob

Autore/i: Jung Carl Gustav

Editore: Il Saggiatore

prefazione e note dell’autore, traduzione Alfredo Vig, collana: La Cultura – Biblioteca di Scienze dell’Uomo n° 20.

pp. 192, Milano

La Risposta a Giobbe, come tutte le opere più “costruite” di Jung, si presta a una lettura su molteplici versanti. Ma questa molteplicità non è un buon argomento per ribadire l’accusa di equivoca ambiguità, che gli avversari più semplicistici muovono contro di lui. Semmai, la Risposta di Giobbe è, tra l’altro, una sofferta, guaritrice ritrattazione di certi equivoci giudizi sfuggiti a Jung sulla satanica avventura nazista. Anche l’atroce storia di Giobbe nasce da una scommessa alla quale Yahwèh si lascia tentare da Satana, insinuatosi in lui come un pensiero di dubbio, che lo scatena a infierire contro uno dei più sinceri e tementi tra i suoi fedeli. (La scommessa col diavolo si ripeterà al principio del Faust di Goethe, una delle matrici del Doctor Faustus di Thomas Mann. Non è escluso che qualche lettore possa trovare, fra gli strati plurimi della Risposta a Giobbe un equivalente del Faustus, proiettato sulle grandi immagini della religione biblica e cristiana, nonché della simbologia mistica). Da creatore provetto, Jung isola la zona del proprio intervento, anestetizza tutte le diramazioni che potrebbero disturbare le credenze religiose, o le incredulità laiche di chi legge. E narra, con gli antefatti e le conseguenze, il romanzo cosmico, teologico, dell’evoluzione di Yahwèh, del Dio Padre, dal momento in cui Egli è costretto a constatare che la Sua onniscienza non sa o non cura di essere incosciente, amorale. È il cauto, il paziente Giobbe, dal suo letto di cenere e di dolore, a suscitare in Lui il senso di responsabilità, il movente dell’opera di Redenzione. Ma il mito di Dio riscattato dall’uomo non potrebbe, in questo libro del dottor Jung, contenere anche un’allegoria del lavoro psicoterapeutico? È un’ipotesi, forse convalidata dal continuo ricorrere, in questo racconto di un processo di individuazione, dei maggiori temi junghiani, tra cui principalmente quello della complementarità del principio maschile di perfezione (Dio) e di quello femminile di completezza (Sophia e poi Maria). In ogni caso, l’autore avrebbe potuto stavolta prendere come epigrafe il detto, da lui medesimo ricordato, della Epistola ai Corinzi (2, 10): lo spirito «investiga ogni cosa, anche le cose profonde di Dio».

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