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Requiem per un Cane

Requiem per un Cane

Titolo originale: Fiorello, réquiem para un perro

Autore/i: Coccioli Carlo

Editore: Rusconi

traduzione libera dallo spagnolo e rifacimento dell’autore.

pp. 128, Milano

«Son convinto, e non smetterò d’esserlo, che poche purezze in questo mondo, senza saperlo anelante all’innocenza, eguagliano quella che si scorge nei mansueti e soavi occhi d’un animale» scrive Carlo Coccioli nelle prime righe di questo libro semplice e meraviglioso ispirato dalla morte del suo vecchio cane, Fiorello, e che si tramuta, di pagina in pagina, in diario dei sentimenti, meditazione religiosa, autoanalisi, ricerca del cammino, tra la Toscana amata-odiata, il grigiore di una stanza a Montmartre e il «sole divorante» del Messico.
In una versione assai diversa dalla presente, Requiem per un cane fu pubblicato originariamente a Città del Messico nel maggio del 1973. Si è affermato che Coccioli lo aveva scritto dietro consiglio del suo psicanalista. E infatti soltanto dopo la pubblicazione di queste pagine dolenti e profonde l’autore de Il cielo e la terra, di Fabrizio Lupo, di Manuel il Messicano, di Davide, e di altri impegnatissimi libri, riprendeva certo gusto alla vita con l’aiuto di un altro cane, Fiorino, cui più tardi, forse per evitare il pericolo dell’esclusività in amore, si è aggiunto Oliver. Ma, pur senza sottovalutare l’eroe o meglio l’antieroe in sé, ossia il cane morto, il lettore è spinto a domandarsi se questo di Coccioli sia un libro su un cane o su un’«altra cosa»: forse la stessa cosa che, al di la delle contraddizioni apparenti, si ritrova nella totalità dell’opera dello scrittore toscano residente in Messico.
Poche settimane erano trascorse dalla sua pubblicazione, e già il libro di Fiorello veniva letto in tutta l’America Latina. In un articolo del suo corrispondente a Buenos Aires, l’influente rivista «Visión», definendo Coccioli «uno dei dieci grandi romanzieri del nostro tempo», affermava che la storia del vecchio cane che muore cieco serviva all’autore «per, attraverso grazia e tenerezza, immergersi nella preoccupazione metafisica che sta alla base della sua opera: l’angoscia religiosa».
Questo è incontestabilmente un libro dalle molteplici interpretazioni. Per cominciare: poetica storia per bambini o inquietante tesi sulle avventure dell’anima? Qualunque possa essere la maniera con cui lo vedrà il lettore, è certamente un libro, come ha detto Carlo Bo a proposito di Davide, «venuto da un’altra letteratura».

Nato a Livorno nel 1920, laureatosi a Roma nel 1943, Carlo Coccioli si e specializzato in religioni orientali e in lingue e letterature camito-semitiche. Ha partecipato alia Resistenza ed è stato decorato con una medaglia d’argento al valore. Ha pubblicato il suo primo romanzo a Firenze, dove viveva, nel 1946. Si e trasferito a Parigi nel 1949, e nel 1953 in Messico, dove e il notissimo editorialista di «Siempre!», influente settimanale latinoamericano, e del giornale «Excelsior», il numero uno della grande metropoli messicana. Scrive in tre lingue.
Fra le sue opere edite in Italia: Il Giuoco (Garzanti, Milano 1950), premio Charles Veillon; Il cielo e la terra (Vallecchi, Firenze 1950; Rusconi, Milano 1977); Manuel il Messicano (Vallecchi, Firenze 1957; Rusconi, Milano 1976); L’erede di Montezuma (Vallecchi, Firenze 1964); Documento 127 (Firenze 1970), itinerario verso una conversione all’ebraismo, che ha ottenuto il premio Portico d’Ottavia 1971; Davide (Rusconi, Milano 1976), premio Selezione Campiello e premio Basilicata; Fabrizio Lupo (Rusconi, Milano 1978); Le case del lago (Rusconi, Milano 1980); La casa di Tacubaya (Editoriale Nuova, Milano 1981), finalista premio Strega; Uno e altri amori (Rusconi, 1984).

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