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Religioni e Riti Magici Indiani nell’America Meridionale

Religioni e Riti Magici Indiani nell’America Meridionale

Autore/i: Métraux Alfred

Editore: Il Saggiatore

nota preliminare dell’autore, prefazione e cura di Simone Dreyfus, traduzione di Roberto Vigevani.

pp. 326, 34 tavv. b/n f. t., 1 cartina b/n, Milano

Uomini Dio, messia o profeti, «cristi», «predicatori» e «santi», dal messianesimo tupi-guarani che si vale di prestiti cristiani per esprimere la tenace sopravvivenza di antichi miti e credenze indigene, piu volte documentato in tutta la terra indio dall’Amazzonia all’antico Paraguay dei guarani, alle agitazioni mistiche delle regioni andine, fra i Tukano e gli Arawak del Rio Negro, fra i gauchos argentini, Métraux ci presenta tutto un susseguirsi secolare di subitanee rivolte e incredibili migrazioni intercontinentali verso la Terra senza Male o il Paradiso Terrestre.
Come tanti altri aspetti della religiosità indio, anche questi movimenti misticopolitici, cosi terribili e incomprensibili, hanno suscitato la curiosità degli europei; in generale il movimento messianico ha comportato, oltre alla curiosità, la repressione, la condanna a morte dei «capi», la dispersione dei seguaci. Métraux ricostruisce storicamente e geograficamente un profilo di queste agitazioni, e ce ne consegna una chiave interpretativa, procedendo per magistrali sintesi storiche integrate da un suo «vissuto» di etnologo con quarant’anni di esperienza. Questi due aspetti, storia e ricerca sul terreno, sono presenti in tutti gli scritti di questa raccolta che avrebbe dovuto essere una etnografia generale del Sudamerica: pubblicata postuma e incompiuta, nel descrivere alcuni aspetti della vita religiosa e delle pratiche magiche dell’America precolombiana, è quanto di più vicino a una ricerca etnografica esauriente si possa avere oggi, di un’America che nell’espressione religiosa e nel rituale, durante la sua lunga agonia, ha trovato l’unico modo di vivere la propria autenticità indigena. Degli altri scritti, la sintesi storica viene in primo piano nel magistrale capitolo sull’antropofagia rituale dei Tupinamba che ci presenta sotto una luce feroce questi indios della foresta brasiliana che nel XVI secolo furono all’origine del nostro mito del «buon selvaggio». Métraux ha scritto questo lavoro a 26 anni, ma già allora rifiutava il concetto di selvaggi, buoni o cattivi, considerando che non vi sono che uomini in una cultura altra dalla nostra, uomini allegri o tristi, liberi o asserviti, piu o meno intelligenti, piu o meno attivi, e che ogni cultura è sempre una risposta totale alla vita e come tale va spiegata sul suo proprio terreno. L’antropofagia dei Tupinamba Métraux la inscrive fra i riti funebri, oppure, in termini sociologici, come cerimonia che vale a preservare la identità del gruppo. Sono quindi raccolti e studiati gli oggetti i gesti i riti le espressioni religiose e i cerimoniali di popoli quasi estinti o in via di sparire per sempre. Molto spesso, ora che tacciono i canti sciamanistici della foresta, o i canti semiprofani che impigriscono l’anima di chi ascolta, e muoiono le danze, i girotondi sfrenati, né s’odono più così distintamente i suoni dei sonagli sacri o i fruscii del mago di ritorno dal suo viaggio nel sole alla ricerca di informazioni per ricuperare l’anima di un malato, si ha la sensazione di assistere al miracoloso salvataggio di un’immensa arca del comune patrimonio umano, e allora ogni pagina di questo libro dedicato alla vita religiosa entra di colpo in una dimensione sacra, nella misura in cui Métraux, singolare mediatore culturale, consegna all’area linguistica d’Europa un’esperienza mancata del suo passato.

Alfred Métraux nacque a Losanna nel 1902, trascorse l’infanzia in Argentina, compi gli studi superiori in Europa: ginnasio in Svizzera, poi l’École Nationale des Chartres, l’École Nationale des Langues Orientales, l’École Pratique des Hautes Etudes a Parigi, poi in Svezia e infine alla Sorbona, dove si laureò nel 1928, anno in cui appare il suo saggio sui Tupinamba. Suoi maestri furono Marcel Mauss, Paul Rivet, Erland Nordenskiöld; ma anche padre Cooper della Catholic University of America, che lo introduce alla scuola antropologica americana. A questo curriculum cosmopolita Métraux risponde fondendo il meglio delle due tradizioni, europea e americana, e con un’attività che, durata quarant’anni, lo vede impegnato in ricerche storiche e spedizioni sul campo in svariate regioni: insegna brevemente in Argentina, in Cile, nel Messico, negli Stati Uniti, a Parigi, a Honolulu; ma compie numerosi viaggi in Polinesia, nell’Isola di Pasqua, nel Chaco, nelle regioni andine, in Africa, in Messico, un insieme di spedizioni che fruttarono all’etnografia, e anche alla storia, una sterminata massa di scritti che lo pongono come un pioniere nel settore dell’antropologia culturale, in particolare delle culture indigene del Nuovo Mondo, ivi incluse quelle africane. Svolse un ruolo essenziale nel promuovere le scienze sociali negli Stati Uniti, specialmente nell’attività affidatagli dalla Smithsonian Institution, per cui Métraux curò il fondamentale Handbook of South American Indians. Dal 1946 al 1962, anno del suo ritiro, Métraux ha collaborato con l’Unesco (il progetto Hylean Amazon e l’inchiesta antropologica della Marbial Valley, nonché lo studio delle migrazioni interne degli indios aymara e quechua della Bolivia) e per l’Unesco ha diretto tutta una serie di pubblicazioni sotto forma di notiziari, monografie e libri riguardanti il concetto di razza e di minoranza razziale. Oltre a Religioni e riti magici indiani nell’America Meridionale, vanno ricordati i celebri saggi sui Tupinamba, Gli Inca (pubblicato nel 1969 in italiano), L’Île de Paques del 1941, Le Voudou Haitien del 1959; il citato Handbook.

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