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L’Oro di Troia

L’Oro di Troia

Autore/i: Payne Robert

Editore: Giangiacomo Feltrinelli Editore

prima edizione, traduzione dall’americano di Nella De Paoli.

pp. 240, 16 tavv. b/n f.t., ill. b/n, Milano

Poche avventure scientifiche stupirono il mondo come la scoperta di Troia e di Micene compiuta nella seconda metà dell’Ottocento, forse proprio perché in quella scoperta minima fu la parte svolta dalla scienza e grandissima quella giocata dal caso. Non che gli archeologi abbiano contestato il valore dei risultati raggiunti dalle campagne di Schliemann (e come avrebbero potuto di fronte ai preziosissimi tesori reperiti?); furono le circostanze singolari che accompagnarono l’impresa sin dagli inizi a dare l’impressione che più di una campagna di scavi archeologici si trattasse di una avventura da leggenda. Schliemann era un grosso commerciante, dotato di uno spirito di iniziativa comune ad altri creatori di fortune economiche del suo tempo: gente che dal nulla fondava genialmente vasti imperi finanziari. Il tedesco, di imperi del genere se ne costruì quattro, in Russia, in America, in Olanda e in patria. Ma egli non voleva un regno di questo mondo: la sua ambizione era di risuscitare dal mito i regni di un incerto passato, corruschi della gloria d’Ettore e d’Agamennone. Cosi si ficcò in tasca un’Iliade in greco (conosceva una dozzina di lingue) e seguendo le indicazioni del testo omerico come fosse un Baedeker, scopri i maggiori centri della antica cultura ellenica, e cavò fuori dal suolo, miracolosamente intatti, vasi d’oro e d’argento, maschere funebri, splendidi diademi, gioielli; e fece affiorare le vecchie mura di Ilio e la torre che dominava la Troade. La sua sicurezza nel localizzare, contro il buon senso e le previsioni dei contemporanei, l’esatto punto dove sorgeva Troia, ci fanno rispettare certe sue ardite asserzioni difficilmente accettabili. Con una certezza che in altri sarebbe parsa presunzione egli identificò luoghi, cose ed eroi omerici: ora si trattava del palazzo di Priamo e del suo tesoro, o della statua di Elena o delle porte Scee, ora (a Micene) della tomba di Agamennone e dell’eroe stesso apparso in per un attimo di sotto la maschera d’oro, prima di cadere in polvere. Il mondo accademico, colto alla sprovvista da queste scoperte, non tardò a tributare i dovuti onori al fantastico personaggio del mercante-archeologo, e fu cosi che il più bizzarro e sprovveduto degli “antiquari” fondò la moderna scienza archeologica, quasi senza accorgersene tanto la sua vita e il suo lavoro s’erano in lui profondamente compenetrati: nella sua casa di Atene ricostruita con scrupolo sugli antichi modelli dei palazzi scoperti, immerso nella lettura di Erodoto e di Eschilo, attorniato da una servitù ribattezzata con nomi omerici, scrivendo appunti in greco classico, Schliemann come un buon re antico meditava di consolidare ed estendere i suoi domini, avviando nuove campagne di scavi a Troia, Micene, Cnosso, Creta, Citera.
Ma ormai la sua straordinaria vita volgeva al tramonto, e prima ancora che un infarto la stroncasse su una piazza di Napoli, essa poteva dirsi conclusa. Giovani archeologi procedendo sulle tracce di Schliemann compivano nuove sensazionali scoperte, e modificavano o correggevano certe conclusioni che lui aveva tratto nella torrida estate della sua maturità quando, guidato solo da un misterioso istinto e dal furioso amore per Omero, aveva saputo evocare dalla polvere dei secoli il mondo degli antichi eroi.

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