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L’Occhio della Pittura

L’Occhio della Pittura

Autore/i: Tadini Emilio

Editore: Garzanti Editore

prima edizione.

pp. 176, ill. b/n, Milano

“Si dovrebbe stare sempre all’erta quando si guarda un dipinto. Vedere chi sta arrivando anche se viene avanti di nascosto”.

Emilio Tadini, inviterà spesso ad osservare i particolari che non si vedono in un quadro, corredando tale esortazione con diversi esempi: in La vocazione di San Matteo di Caravaggio (1599), Cristo appare all’evangelista, ma in realtà il santo guarda altrove, anche se la convinzione comune è che il suo sguardo sia rivolto solo a lui. Infatti se così fosse vedremmo San Matteo di profilo, mentre è di tre quarti osservando non si sa bene che cosa, piccolo anzi grosso enigma. In Las Meniñas di Velázquez (1656) l’innaturale posizione del polso dell’artista che sta dipingendo l’opera permette di mostrare i colori posti sulla tavolozza, anche se la vista della tela è celata allo spettatore perché ciò che di essa si vede è solo il telaio.
Tadini perciò dimostra che molto spesso davanti a un quadro non si colgono evidenze estremamente chiare e semplici perché, nella convinzione che tutto ciò che conta sia nel profondo, non si riesce a cogliere il senso e i significati che sono invece da sempre sulla superficie.
Alla luce di questa premessa Tadini espone il contenuto del suo ultimo libro dal titolo “L’occhio della pittura” (Garzanti 1995) in cui educa allo sguardo ed insegna a leggere alcuni quadri per ricostruire la storia della pittura degli ultimi anni del secolo scorso e dei primi del XX secolo, momento in cui la pittura cambia completamente.
Nella sua dissertazione si soffermerà sull’aspetto della “disgregazione” della materia pittorica partendo da Degas, passando per Cézanne, arrivando a Picasso, sottolineando come la pittura abbia letto e si sia confrontata con l’humus sociale che andava trasformandosi e che sarebbe sfociato nella distruzione della Prima Guerra Mondiale.
Dell’Impressionismo viene sempre letta con chiarezza soltanto quella parte che lo giustifica come momento in cui vige una specie di passione panica e di conquista della natura; in realtà nel tessuto della pittura impressionista si manifesta una specie di dissoluzione della materia pittorica che mette in atto l’autentica rappresentazione di un mondo che non sta più insieme. Le radici di tale disgregazione derivano dagli ultimi quadri di Tiziano in cui la pennellata diventa una specie di impronta del soggetto; quindi questa operazione passerà in Spagna, arrivando a Goya e attraverso di lui così agli impressionisti.
Anche Cézanne degli ultimi paesaggi, pur dipingendo delle montagne che sono il simbolo della stabilità, finisce per usare una materia pittorica fatta di completo sfarfallamento di pennellate e di disintegrazione dell’immagine, cosa che faranno esattamente anche i suoi fedeli allievi, Picasso e Braque. Dopo i primi paesaggi cubisti assolutamente squadrati, con i primi esperimenti del cubismo analitico le immagini si disfano perché l’oggetto di Picasso è un mondo che non sta più insieme: nel suo Les demoiselles d’Avignon, dipinto sotto la suggestione delle maschere africane appena viste al Musée de l’Homme, cerca di fare con la pittura esattamente quello già tentato dai popoli africani, e cioè una specie di esorcismo contro i mali del mondo, facendo irrompere nel quadro il lato selvaggio di una cultura occidentale che si era fino ad ora illusa di aver risolto i suoi problemi tramite la scienza positivistica.

Emilio Tadini è nato a Milano nel 1927. Fa il pittore e lo scultore e collabora a diversi giornali e riviste. Ha pubblicato i poemetti in La passione secondo San Matteo (sul Politecnico di Elio Vittorini), Tre poemetti (1960) e L’insieme delle cose (Garzanti 1991); inoltre i romanzi Le armi l’amore (1963), L’opera (1982), La lunga notte (1987) e La tempesta (1993).

 

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