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L’Inferno e il Limbo

L’Inferno e il Limbo

Autore/i: Luzi Mario

Editore: Il Saggiatore

prima edizione.

pp. 256, Milano

Sotto il titolo L’inferno e il limbo, Mario Luzi pubblicò (Firenze, 1949) la prima parte degli scritti che si ritrovano in questo volume, dove adesso ha raccolto tutte, si può dire, le sue riflessioni sulla poesia dal 1945 a oggi, e le principali note di critica composte all’incirca nello stesso periodo. Si vedrà subito come in questi saggi, non meno illuminanti quando rivelano il dramma del cercare che quando raggiungono la certezza del trovare, risulti feconda, per esempio, l’antitesi inferno-limbo. Essa permette, tra l’altro, di delineare un’interpretazione complessiva, ma tutt’altro che schematica, della letteratura italiana, che appunto «manca di inferno», con la conseguenza che le difetta anche «il gusto della narrativa». Alle origini di questa nostra poesia del limbo («dove il dolore si aggira lusingato dalle sue illusioni») si pone il Petrarca: e di lui e del petrarchismo è tracciato qui un ritratto già esauriente e bellissimo, e tuttavia ancora aperto a molte applicazioni e sviluppi. Quando fa il critico, Luzi è un critico, e non approfitta dell’occasione per una difesa personale della propria poetica.
Semmai, un suo profilo si potrà discernere nella filigrana del saggio sulla Naturalezza del poeta; ma a parte che per lui la personalità del poeta è «riassorbita e quasi invisibile», i lineamenti che ne lascia trapelare son quelli suscettibili di essere condivisi e che valgono soprattutto come verifica della nozione di poesia, della sorte di questa nel mondo attuale. Alle domande sul senso e i modi di questa sorte, Luzi è tra i più capaci di rispondere, fedele come si serba alle proprie origini ermetiche, ma insieme umanamente e religiosamente pronto ad assolvere i compiti che oggi toccano alla poesia: «vivere nella vita, parlare nella lingua: sicché la sintesi alla quale l’arte non può rinunziare senza perire avvenga nella vita, e la sua chiave sia posta nell’umano, qualunque reame debba aprire e rivelare». Simili posizioni, così bene accertate e intimamente credute, basterebbero a un critico più avaro per dedurre i suoi giudizi sui singoli autori come altrettante riprove.
Ma Luzi non sfrutta la propria coerenza per esimersi dall’esame inventivo, diretto e ferace degli antichi, e dei moderni: basterebbero come esempi le note sul D’Annunzio e sul Pascoli, modelli di una critica che rimane militante, senza più nulla di contingente.

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Argomenti: Letteratura, Poesia, Saggi,

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