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Canone Buddhistico - Raccolta di Aforismi

(Sutta Nipāta)

di
Editore: Bollati Boringhieri Editore
Prezzo: € 22,00

Informazioni: introduzione, traduzione e note di Vincenzo Talamo. - pp. 264, Torino
Stampato: 1979-01-01
Codice: 500000003314

"Procede il saggio vigilando sui sensi e dominando le proprie facoltà, saldo nella Dottrina, trovando gioia nella rettitudine e nella benignità; colui che ha superato l'attaccamento e si è liberato di tutte le ansietà non viene contaminato da quel che può vedere o udire."

"La fiducia è il seme, l'ascesi è la pioggia, la conoscenza è il mio giogo e il mio aratro, il ritegno è il timone, la mente è la cinghia dei giogo, la consapevolezza e il mio vomere e il mio pungolo."

Dall'introduzione di Vincenzo Talamo:
«Fra il sesto e il quinto secolo a. C. un giovane di nobile lignaggio, figlio del capo di una repubblica aristocratica situata ai piedi dell'Himalaya, abbandonò un giorno la lussuosa dimora paterna e depose i suoi abiti principeschi per indossare la veste gialla dell'asceta itinerante. Sostentandosi di elemosina, per ben quarantacinque anni, cioè fino al termine dei suoi giorni, egli percorse il territorio nord-orientale dell'India additando a quelli che avevano "poca polvere sugli occhi" il sentiero che conduce alla cessazione della sofferenza ed alla emancipazione dal condizionato. A distanza di venticinque secoli il suo messaggio è tuttora vivo ed operante per milioni di uomini e molto può dare a chi lo riceva con adatta disposizione di spirito. Il Sutta Nipāta, che presentiamo per la prima volta integralmente tradotto dal testo originale pāli, fa parte di questo messaggio, si può anzi considerare una delle più antiche formulazioni della Dottrina dell'Illuminato. Una trattazione, sia pure sommaria, della Dottrina che va sotto il nome di Buddhismo non rientra nei limiti del presente volume. Scopo di queste note introduttive è invece quello di portare l'attenzione del lettore sugli aspetti più salienti di questa Dottrina e conseguentemente sull'atteggiamento mentale che si richiede per una retta comprensione di essa.
Accostarsi al Buddhismo ricercandovi gli equivalenti di una religione monoteistica, o quegli elementi in genere che la nostra mente è abituata a considerare come essenziali di ogni religione, equivale a porsi in condizione di non intenderne lo spirito. Profondamente diversa è infatti la posizione che l'uomo occupa nel Buddhismo da una parte e nell'Ebraismo, nel Cristianesimo, nell'Islamismo dall'altra; diversi sono i fini ch'egli si propone e i mezzi che mette in opera per conseguirli.
Il Buddhismo non è una religione di tipo devozionale. Non si trova in esso l'idea di un Essere supremo personale, creatore e signore del mondo, di una Provvidenza che tenda la mano all'uomo bisognevole di soccorso e che dispensi premi e castighi. I vari dèi si trovano anch'essi, per così dire, di qua dalla creazione, sono anch'essi soggetti, come gli uomini, al divenire o "saṃsāro" e non possono perciò recare alcun aiuto all'uomo desideroso di trascendere la sua precaria condizione. Lo stesso Brahma, subito dopo l'illuminazione del Sublime, discende dalla sua celeste dimora e lo prega di esporre la Dottrina per il bene degli uomini e degli dèi.
Ne deriva come corollario che l'uomo, per sfuggire al "saṃsāro" e conseguire l'incondizionato, non deve cercare alcun appoggio esterno ma deve fare affidamento unicamente sulle proprie forze. In altre parole il Buddhismo, per lo meno il Buddhismo originario o "Theravāda", non è una religione soteriologica; il Buddho non è un salvatore ma solo uno "svegliato", un "compiuto" il quale ha deposto il fardello, è giunto mediante i suoi propri sforzi all'altra riva e, mosso da compassione per il genere umano, espone a chi abbia orecchie per intendere un metodo, una tecnica per ottenere lo stesso risultato. L'assenza di un Essere supremo che governi il mondo ha naturalmente i suoi riflessi nei riguardi della morale, la quale nel Buddhismo non va intesa come un insieme di rigide norme di condotta che trovano la loro giustificazione nel volere divino e la cui trasgressione rende l'uomo meritevole di castigo. Al posto del peccato troviamo qui l'errore le cui malsane conseguenze, rigidamente determinate dalla ferrea legge del "kamma", sono già contenute in germe nell'atto stesso e ne scaturiscono automaticamente non appena venute a maturazione. In altri termini, si è "puniti", se così si può dire, non "per" le proprie azioni, ma "da" esse, come una sbarra di ferro rovente scotta, senza l'intervento di un terzo fattore, la mano dell'incauto che la tocchi. L'etica buddhista non ha quindi valore assoluto, ma solo strumentale: l'attenersi a determinate regole di condotta vale solo in quanto serve a conseguire determinati risultati e perde qualunque significato una volta raggiunto lo scopo. Questo concetto è mirabilmente espresso dal paragone della zattera che serve egregiamente per attraversare una corrente ma diventa del tutto inutile non appena si sia raggiunta l'opposta riva.[...]»

Il volume è disponibile in copia unica

Libro che può recare eventuali tracce d'uso.

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Argomenti: Buddhismo, Dottrina,

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