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La Voce della Terra

La Voce della Terra

Autore/i: Rebreanu Liviu

Editore: Edizioni Paoline

versione dal romeno di Giovanni Serra, disegni interni e della copertina del pittore romeno Jules Perahim.

pp. 568, nn. disegni b/n f.t., Milano

Ion – che nella bella e integrale versione italiana reca il titolo di La voce della terra – è «considerato il più importante romanzo romeno», che può reggere al confronto dei migliori romanzi della letteratura mondiale contemporanea. L’azione è semplice: Ion, povero ma fremente d’ambizioni, agogna ai poderi di Basilio Baciu, cui li strappa seducendone e poi sposandone la figlia Anna, che non ama e che anzi percuote bestialmente. La fragile donna – periodicamente bastonata anche dal padre ubriacone, che si era sentito tradito e spogliato dal genero – dopo aver inutilmente sperato che il figlio le propiziasse un briciolo d’amore da parte del marito, in un momento di smarrimento e d’incoscienza si uccide. Ion tenta allora di far sua Florica, la ragazza che aveva sempre amata e ormai andata sposa a Giorgio, ma viene sorpreso nella sua tresca e ucciso. Attorno a questa trama s’intrecciano le vicende di un villaggio romeno con le passioni e i pettegolezzi, le meschinità e le superstizioni che ne scandiscono la vita grama e monotona, variata da poche feste, che si concludono immancabilmente all’osteria, o da qualche fremito patriottico contro la dominazione dell’Impero austro-ungarico. È un quadro grigio, pessimistico, con punte di spietato realismo. Si ha quasi l’impressione che l’intera esistenza di quella gente sia esclusivamente condizionata da sordidi interessi personali. «Dappertutto l’egoismo, o mio Dio!», esclama avvilito un personaggio del romanzo. «Tutti parevano incantati di se stessi e preoccupati solo d’innalzarsi sugli altri a qualunque costo». Per Ion ogni cosa è subordinata alla famelica brama dei campi, per i quali nutre un culto superstizioso. «Fu preso dalla voglia selvaggia di abbracciare la terra, consumandola dai baci… Poi, adagio, devotamente, quasi inconsciamente, si inginocchiò, curvo la fronte e premette con voluttà le labbra sul suolo umido».
Ma questa passione, che si traduce in un’insaziabile ingordigia l’accumulare il maggior numero di terreni possibile, con qualsiasi mezzo, fa subire al protagonista un processo di disumanizzazione, spegnendo in lui i più elementari sentimenti umani: l’amore coniugale e l’amore paterno. Per lui, come per Basilio Baciu, Anna non è più un essere umano ma una dote. «L’ostinazione, l’egoismo, la crudeltà con cui Ion aveva perseguito il suo scopo, senza guardare né a destra né a sinistra», atterriscono. Tuttavia – vanità delle ricchezze! – pur «vedendosi padrone di tante terre, invece di darsi pace si irritava ancor di più, si sentiva ancor più ingannato, e pensava solo a quelle terre che avrebbero dovuto essere sue». «Di terre ne hai già abbastanza!» gli ricordava un amico, cui egli rispondeva, cupo: «Non bastano mail…». Questa sinistra figura, ribelle ad ogni legge che non sia quella dei suoi primordiali istinti – che a volte fa pensare al Capaneo dantesco e che l’A. scolpisce con rara incisività – getta un’ombra paurosa su tutto il romanzo. Fortunatamente, altri personaggi, caratterizzati con fine intuito psicologico, ad onta di tutte le loro debolezze, hanno un tutt’altro senso della vita. Tito all’amico Ion rimprovera: «Non bisogna essere troppo avidi, perché l’avidità fa perdere l’onestà…
Si vede che Dio con una mano ti ha dato la ricchezza e con l’altra ti ha levato il giudizio…». Indimenticabili sono alcune fugaci apparizioni, come quella del bizzarro e pur saggio Demetrio, che, pochi istanti prima di spirare, confida ad Anna che la morte è come una donna che «corre, corre e aspetta solo un segno per fare zaf e menarti davanti al Signore, che ti giudicherà secondo la tua condotta sulla terra». Al povero vecchio sorella morte appare «dolce come il bacio di una vergine» e quando chiude gli occhi un «dolce sorriso» erra nel suo sguardo.

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Argomenti: Letteratura, Romanzo,

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