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La Lunga Marcia Verso l’Esilio – Memorie di un Guerriero Cheyenne

La Lunga Marcia Verso l’Esilio – Memorie di un Guerriero Cheyenne

Titolo originale: Wooden Leg, a Warrior who Fought Custer

Autore/i: Kum-Mok-Quiv-Vi-Ok-Ta Gambe di Legno

Editore: Rusconi

prima edizione italiana, cura e premessa di Thomas B. Marquis, traduzione dall’inglese di Donatella Tippett Andalò.

pp. 336, 1 illustrazione in bianco e nero, Milano

Thomas B. Marquis, che ha trascritto queste memorie del guerriero cheyenne Gambe di Legno (Kum-mok-quiv-vi-ok-ta), è un medico che vive nel Montana. Nel 1922, volendo conoscere la verità sulla famosa battaglia sul Little Bighorn, dove nel 1876 gli Indiani delle Pianure ottennero una clamorosa vittoria sugli yankees, uccidendo il generale Custer (chiamato da loro Capelli Lunghi), si trasferì nella riserva dei Cheyenne settentrionali.
Apprese l’antico linguaggio a gesti usato dagli Indiani delle Pianure a tal punto che, eccettuata qualche volta, poté fare a meno degli interpreti. E dopo molti inviti riuscì a vincere la diffidenza dei suoi interlocutori e a farsi raccontare la battaglia nei minimi particolari.
Il narratore preferito di Thomas B. Marquis divenne Gambe di Legno, così chiamato perché in gioventù non si stancava mai di camminare. Questi dilatò il racconto della battaglia sino a trasformarlo nella narrazione dell’odissea del suo popolo costretto a poco a poco a rinunziare alla sua libertà e alle sue tradizioni a causa delle sopraffazioni dei Bianchi, e infine a vivere in esilio nella propria terra.
Così la battaglia sul Little Bighorn (il cui racconto, come ha scritto Elémire Zolla, è un piccolo capolavoro narrativo) divenne nell’economia della narrazione uno dei tanti episodi della lotta che si sarebbe conclusa con la sconfitta e la totale sottomissione degli Indiani delle Pianure. ’ Questa narrazione autentica della conquista del West vista dalla parte degli Indiani dà una stretta al cuore‘ per la catena di sopraffazioni e di mancanza di rispetto dei trattati che vi si rivela.
Tuttavia Gambe di Legno non si è limitato a ricostruire fedelmente questa tragica storia, ma ci ha offerto-, soprattutto nei capitoli iniziali, una preziosa descrizione delle consuetudini, dei riti e della società cheyenne che, oltre ad avere un interesse etnologico, aiuta il lettore intelligente a superare quel pregiudizio della civiltà tecnocratica, secondo il quale i popoli «primitivi» sarebbero dei sottosviluppati sul piano della civiltà.
Leggendo questo libro, ci si accorge invece che gli Indiani delle Pianure, popoli di nomadi dediti soprattutto alla caccia, possedevano una cultura e una civiltà non di certo inferiore alla nostra, se per cultura e civiltà intendiamo un complesso di costumi e di tradizioni capaci di preservare ciò che vi è di più nobile nell’uomo. Basterebbe questa descrizione del «ritiro spirituale» cheyenne per sottolinearne l’alto livello: «Andare in ritiro o “far medicina”, vuol dire passare un periodo di digiuno, di ringraziamento, di preghiera, di annullamento di sé e perfino di autotortura. Si tratta di dedicarsi per un certo tempo a esercizi esclusivamente spirituali. Il fine è quello di sottomettere le passioni della carne e di nutrire lo spirito.
L’astinenza del corpo e la concentrazione della mente su pensieri elevati mondano il corpo e l’anima, e li sanano o li mantengono in salute. Allora la mente umana si approssima alla conformità con la Mente della Grande Medicina che è sopra di noi».

Nacqui settantatré anni fa (1858) dove il mio popolo era allora accampato, cioè presso le acque del fiume Cheyenne, nella regione dei Black Hills. I miei genitori. erano Indiani della tribù dei Cheyenne settentrionali. Mio padre aveva due nomi, come avviene spesso da noi. Qualche volta lo chiamavano Molte Ferite da Pallottola, a causa delle molte cicatrici che segnavano il suo corpo, tutte riportate in guerra. Ma il nome che preferiva era Bisonte Bianco che si Scrolla la Polvere. Mia madre si chiamava Penna d’Aquila sulla Fronte.
Un tempo la donna non mutava nome sposandosi, quindi si è chiamata così per tutta la vita. Il padre di mio padre era andato a Washington come delegato della nostra tribù, prima che io nascessi. Lo chiamavano Senza Trecce. Il fatto che termini differenti indichino mio nonno, mio padre, mia madre e me dimostra che una volta l’individualità era tenuta in considerazione, indipendentemente dal matrimonio o dai legami di parentela. Ognuno dei miei fratelli e sorelle aveva un nome diverso dal mio o da quello di mio padre e di mia madre.

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