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Il «Vizio Assurdo»

Il «Vizio Assurdo»

Storia di Cesare Pavese

Autore/i: Lajolo Davide

Editore: Il Saggiatore

introduzione dell’autore.

pp. 384, 32 fotografie b/n f.t., Milano

A quasi quindici anni dalla morte, Pavese continua ad allargare e approfondire il suo ascendente. È l’autore interrogato con più curiosità dai giovani; è quello in cui gli stranieri, specie gli americani, cercano una spiegazione della recente storia d’Italia, in ciò che essa ha di più contrastato e segreto.
È anche lo scrittore che ha vissuto il travaglio della propria generazione col più inquietante, doloroso amalgama di lucidità e di istinto, di passività e di iniziativa. Ma oltre che un’opera, Pavese è un destino con un punto cieco: alla fine, il suo «valere alla penna», come egli diceva, non servì a riscattarlo dal «vizio assurdo», cioè dalla tentazione suicida, coltivata fin dall’adolescenza. Questo epilogo stoico e atroce ha distorto, e continua a distorcere, molti giudizi su di lui e la ricostruzione stessa di quella vicenda d’uomo, che ha fruttato alla moderna letteratura italiana alcuni dei suoi libri più belli. Una biografia che mettesse in chiaro la verità era dovuta a Pavese. Davide Lajolo, l’amico a cui egli diede, nei suoi ultimi anni, la più piena confidenza, si è assunto questo compito. Il libro è l’assoluzione umana a chi ha tradito il compito di vivere: un’assoluzione piena, fraterna, ma senza esosa pietà. Perfino il Diario di Pavese è contraddetto da questa cronaca senza reticenze. «Non sono uomo da biografia» egli disse un giorno a Lajolo. «L’unica cosa che lascerò sono pochi libri… Certamente il meglio, perché io sono una vigna, ma con dentro troppo letame.» In questa biografia, oltre il racconto e l’interpretazione fedele che l’Autore ci dà dei fatti, dei pensieri, dei sentimenti. è ancora Pavese che parla: da lettere, documenti, testi fin qui ignorati. Oltre ad essere il libro più rivelatore e più orientativo sull’uomo e lo scrittore, questo Vizio assurdo è, ancora, un insperato messaggio di Cesare Pavese.

Davide Lajolo è nato nel 1912 a Vinchio d’Asti, a poca distanza da S. Stefano Belbo, dove nel 1908 era nato Pavese. Alcune affinità di conterranei aiutarono dunque i due uomini a capirsi. Ma Lajolo proveniva da strade molto diverse da quelle del suo futuro amico. Praticamente, aveva fatto undici anni di guerra, come ufficiale di fanteria, prima di diventare il partigiano «Ulisse», comandante di quella divisione «Garibaldi Monferrato» che operò dal 1945 al 1945 tra Alba e Asti. Pavese ne apprendeva le azioni da Serralunga di Casale, dove si era rifugiato.
All’indomani della Liberazione, Ulisse fu chiamato all’«Unità» di Torino in qualità di caporedattore: negli uffici del giornale andò a cercarlo Pavese. Nel 1946 ebbe la direzione dell’«Unità» di Milano, che tenne per dieci anni. Dal 1958 è deputato al Parlamento. Ha collaborato a numerose riviste letterarie e politiche, pubblicato libri di liriche, curato, in collaborazione con Ungaretti, l’antologia dei Poeti di Saint-Vincent.
Ha avuto molta fortuna, anche all’estero, un suo diario-racconto: Classe 1912. Il «Vizio assurdo», dopo aver ottenuto il «Premio Crotone», è uscito in francese e in tedesco e sta per uscire in inglese e cecoslovacco.
Come Il «Vizio assurdo» è nato dai successivi incontri con Pavese, così, dall’avventuroso incontro con Francesco Scotti, è nato l’ultimo libro di Lajolo, Il «voltagabbana», inquieta, quasi espiatoria autobiografia, edita dal Saggiatore nel 1963 e giunta ormai alla terza edizione.

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