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Il Parco

Il Parco

Titolo originale: Der Stadtpark

Autore/i: Grab Hermann

Editore: Casa Editrice Marietti

unica edizione, introduzione, traduzione e note a cura di Renata Buzzo Màrgari, in copertina: Gino Severini, Primavera a Montmartre.

pp. XXXI-108, Casale Monferrato (AL)

In una sua famosa pagina Kafka racconta l’incontro, avvenuto in treno, con un viaggiatore che non riesce a capire, nonostante le sue spiegazioni, quale sia la sua nazionalità, se egli sia ceco, austro-tedesco o qualcosa d’altro ancora.
Kafka, ebreo praghese di lingua tedesca, è un modello esemplare di quella Mitteleuropa sovranazionale che appare sempre più uno specchio della nostra identità perduta, l’immagine della totalità che si è dissolta. In quell’ordinata e composita ecumene ci si era accorti, come scrive Musil, che l’edificio della civiltà era campato in aria e poggiato sul nulla. I poeti e gli scrittori del mondo danubiano hanno vissuto e rappresentato quell’eclissi dell’universale che ci coinvolge ancor oggi e che contrassegna il moderno. L’hanno rappresentata senza illusioni, ma anche senza arrendersi e conservando una tenace esigenza della totalità svanita e dell’irreperibile senso della vita.
La cultura danubiana, in questi anni, è stata ed è di gran moda in Italia. Come ogni moda, anche questa ha avuto i suoi meriti e le sue esagerazioni, ha contribuito a far conoscere grandi scrittori e ad appiattirli in generalizzazioni stereotipe. Come ogni moda, anche questa ha provocato quel fenomeno, altrettanto vistosamente pubblicitario, che è la reazione alla moda, l’affrettata e conformistica liquidazione. Al di là di ogni preconcetta infatuazione e di ogni preconcetta ripulsa, quella grande cultura ha ancora molte zone inesplorate e voci da scoprire, specialmente negli autori della periferia asburgica che, scrivendo nelle più varie lingue di quel mosaico, hanno vissuto quel mondo nelle forme più originali e diverse. Sono voci, maggiori o minori, che ci raccontano la nostra storia e che questa collana si propone di far conoscere, sperando che, per loro tramite, il lettore possa sentire, come il conte Morstin di Joseph Roth, più familiare la vastità del mondo lontano, e più nuova e misteriosa la vicinanza del mondo quotidiano in cui egli vive. (Claudio Magris)

Nato a Praga nel 1903 e morto negli Stati Uniti nel 1949, Hermann Grab è un poeta discreto e struggente che ha espresso nella sua opera, come scriveva Adorno, nel necrologio composto per l’amico appena scomparso, il conflitto del soggetto sensibile e delicato con la dura e compatta quotidianità borghese. L’atmosfera declinante e crepuscolare di Praga, dei suoi giardini che egli sa evocare con ferma e purissima poesia, è la cornice nella quale si svolge l’infanzia di Grab ed anche il tramonto della vecchia Europa, di cui Grab è insieme un figlio dolente e appassionato e un infallibile critico. La tenerezza di quell’infanzia, ambiguamente mescolata alla dolcezza di quel tramonto epocale, diviene nei racconti di Grab l’esempio più toccante della fragile e ipersensitiva soggettività tardo-borghese, di un’individualità che si sente minacciata dal sempre più anonimo divenire sociale e dal sempre più terribile corso della storia.
Vittima di quel crepuscolo, delle sue laceranti tensioni e della sua indicibile malinconia, Grab ne diviene anche la coscienza poetica e morale.
I “preziosi brividi” – che Klaus Mann celebrava nella sua prosa – sono il risultato di una memoria che, educata alla grande scuola di Proust, si immerge nel passato per ritrovare un tempo perduto, nel quale la palpitante cronaca dei sentimenti privati appare intessuta dei generali problemi dell’epoca, percorsa da quel dissidio che ha scardinato l’intera civiltà.
Ne Il Parco, il capolavoro di Grab, l’incantata e dolorosa infanzia praghese, piena di echi e di lontananze, di congedi e di nostalgia, è la metafora di un processo storico universale, di quel declino del soggetto individuale che affonda nell’ombra e nell’assenza, negandosi all’intollerabile disumanità del mondo con una sommessa e radicale coerenza che smaschera la generale impossibilità di vivere.

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