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Il Mio Tibet – Tre Generazioni di Donne, un’Unica Grande Storia. Dalla Fuga Disperata Attraverso l’Himalaya, alla Conquista di un Futuro Felice

Il Mio Tibet – Tre Generazioni di Donne, un’Unica Grande Storia. Dalla Fuga Disperata Attraverso l’Himalaya, alla Conquista di un Futuro Felice

Titolo originale: Eisenvogel. Drei Frauen aus Tibet – Die Geschichte Meiner Familie

Autore/i: Brauen Yangzom

Editore: Rizzoli

prima edizione, prologo dell’autore, traduzione di Francesco Peri.

pp. 364, nn. tavole a colori e b/n, f.t., Milano

I fuggiaschi avanzavano sempre di notte, nel gelo, per paura dei posti di blocco cinesi. L’unica luce sul loro cammino erano le stelle, oppure, poco prima dell’alba, ma solo allora, la luna nuova. Le montagne colossali si stagliavano nere contro un cielo scuro, solo qua e là si indovinavano chiazze di neve, pareti rocciose e brandelli di nubi.

“Quando l’uccello di ferro solcherà i cieli e i cavalli avanzeranno su ruote, il popolo dei tibetani si spargerà per il mondo come le formiche, e la dottrina del Buddha raggiungerà la terra degli uomini rossi”: quest’antica profezia risuona finalmente chiara quando la Cina invade il Tibet e tenta di sradicarne la cultura secolare. Mola e il marito Tsering, entrambi monaci, non possono accettare la violenta repressione dei culti che praticano da sempre e sfidano in pieno inverno le nevi dell’Himalaya per raggiungere il Dalai Lama nel suo esilio indiano. Poco cibo sulle spalle, abiti leggeri e due bambine al seguito – una delle quali muore nella fuga – è tutto quello che hanno con sé. Ad accoglierli, un Paese in fermento, poverissimo, che riserva loro solo miseria e lavori pesanti per sopravvivere. E infine il trasferimento in Svizzera, la promessa di una vita nuova e la timida scoperta del mondo occidentale.
Yangzom Brauen, ultima erede di questo viaggio, ripercorre l’epopea della sua famiglia attraverso la vita di due donne: la nonna Mola, monaca e madre dalle mille risorse, che ha conosciuto la morte da bambina, ha scelto la meditazione da ragazza e da allora è diventata la tenace depositaria di un antico buddismo popolare destinato a sparire con la sua generazione; e Sonam Dèlma, sua figlia, che giovanissima abbandona la realtà che conosceva per seguire il futuro marito. Dai loro ricordi Yangzom ha imparato ad amare un Tibet ormai scomparso – quello delle capanne di frasche degli eremiti, delle lampade a burro, del fumo delle offerte che si innalza verso il cielo dai monasteri in alta quota – ma che si è impresso come una ferita aperta nella memoria di chi l’ha vissuto e nella coscienza di un popolo ancora in lotta per salvarlo.

Yangzom Brauen (1980) è un’attrice, modella e attivista pro Tibet. Figlia di una profuga tibetana e di un etnologo svizzero, è cresciuta a cavallo tra due culture, tra l’Europa e il retaggio buddista della sua famiglia. Oggi vive tra Los Angeles, New York, Berlino e Zurigo, lavorando nell’industria cinematografica e impegnandosi regolarmente nella difesa della causa tibetana. Il mio Tibet è il suo primo libro.

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