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Il Mio Passato Eschimese – Memorie di uno Sciamano della Groenlandia

Il Mio Passato Eschimese – Memorie di uno Sciamano della Groenlandia

Titolo originale: Min Eskimoiske Fortid

Autore/i: Qúpersimân Georg

Editore: Ugo Guanda Editore

premessa e cura di Otto Sandgreen, traduzione di Eva Kampmann.

pp. 216, illustrazione b/n, Parma

Il mio passato eschimese è il racconto in prima persona dell’infanzia e della giovinezza dello sciamano Georg Qúpersimân (o Qârtsivaq, o Qipínge, per citare solo alcuni numerosi nomi che gli appartengono). Nato in Groenlandia nel 1889, e convertitosi al cristianesimo nel 1915, Qúpersimân ha affidato in vecchiaia le proprie memorie al pastore protestante Otto Sandgreen,
che le ha trascritte in un resoconto fedele, un resoconto suggestivo e coinvolgente proprio perché scevro, volutamente, da elaborazioni letterarie. Rimasto orfano poco dopo la nascita per l’assassinio del padre, Georg viene allevato da una madre coraggiosa e sfortunata e deve affrontare gli stenti e le privazioni di chi è costretto a vivere ai margini della comunità e a dipendere dalla carità altrui. Un lungo apprendistato lo trasforma in abile cacciatore e potente sciamano, capace di evocare le creature sovrannaturali che popolano la sua terra. La voce del protagonista e narratore, ingenua e quasi brutale nella sua immediatezza e sincerità, ci parla di un universo primigenio e intatto, dove una natura dominatrice e la crudeltà dei suoi simili costringono l’uomo a una lotta quotidiana per la sopravvivenza. Il mondo di Georg è un mondo di cose: il ghiaccio, il sangue che sprizza dalla coscia della madre ferita dal patrigno o dal corpo del cucciolo di orso colpito sulla neve, il cadavere di un cacciatore di cui si cibano i compagni per salvarsi dall’inedia. Nella narrazione scabra ed essenziale di Qúpersimân, in cui riecheggia il ritmo delle nenie e dei «duelli di canti» di una civiltà ormai quasi scomparsa, non c’è posto per i sentimenti o i pensieri ma solo per le sensazioni: fame, freddo, paura, dolore e solitudine non sono semplici parole, ma entità concrete e terribili. Accanto a questo mondo minaccioso e affascinante – e nel suo linguaggio semplice ed elementare Georg non dimentica mai di celebrarne con stupore la bellezza – esiste quello parallelo degli «spiriti ausiliari», gli esseri sovrannaturali evocati dal protagonista che si celano in ogni piega del paesaggio. Si tratta di un’esperienza del sacro domestica e concreta, una frequentazione quotidiana dove anche gli incontri e le avventure più incredibili prendono forza di verità.
Come ha scritto Claudio Magris, il fascino del racconto «è nel senso della propria indifesa piccolezza che anima l’autore e che rende ancora più significativa la difficile conquista della dignità e del coraggio. Il mondo artico è stupendamente evocato nel suo biancore e nel suo ghiaccio, nei kayak che percorrono le acque gelate […] nella bellezza degli iceberg e degli abbaglianti specchi d’acqua che fa risaltare, per contrasto, l’estrema povertà e durezza dell’esistenza».

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