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I Miti Greci

I Miti Greci

Titolo originale: Greek Myths

Autore/i: Graves Robert

Editore: Euroclub

presentazione di Umberto Albini, introduzione dell’autore, traduzione dall’originale inglese di Elisa Morpurgo,in copertina: Gustave Moreau, Diomede divorato dalle sue cavalle (1865) Rouen, Musée des Beaux Arts.

pp. 724, Milano

Prima della scienza, prima della religione, c’è il mito. Modo ingenuo – ci dicono -, modo fantasioso, spregiudicato e prescientifico, di spiegare l’origine delle cose e degli uomini, gli usi i costumi e le leggi.
Filologia, etnografia, antropologia hanno lacerato il velo del mito, evidenziandone le radici ideologiche, il retroterra di superstizione e di magia. Ma i miti, così dissezionati, ci vengono restituiti alla stregua di freddi reperti anatomici, buoni tuttalpiù per qualche museo. Robert Graves è riuscito a rianimare questa materia ormai inerte, restituendocela con tutto il suo splendore, il suo sense of wonder e (anche) il suo humour. I miti greci, pur senza dover invidiare nulla ad altre raccolte analoghe condotte sul filo della filologia e dell’erudizione, ha un pregio fondamentale: i centosettantuno capitoli che lo compongono si snodano con la sveltezza e col brio di un racconto ben scritto, di una rievocazione, partecipe e disincantata al tempo stesso, di un mondo incantato e incantevole.
Nessuna retorica, nessun manierismo: le gesta degli dèi e degli eroi, che di per sé tendono all’epico, sono costantemente ricondotte alla nostra misura umana, immerse come sono nella quotidianità (sia pure dell’antica Grecia). Così Zeus, Era, Afrodite, Eracle compiono non solo prodigi e grandi imprese, ma sono afflitti da acciacchi, perseguitati dalla sfortuna, schiattano di rabbia, si concedono scappatelle e hanno le paturnie. E tutto senza «smitizzare» i miti, ma – al contrario – con la preoccupazione di salvaguardarne, assieme alla sostanza, anche il sapore, con uno stile e un piglio che debbono più alla grande lezione del Ramo d’oro di Frazer che al forse necessario ma anche triste lavoro di scavo di un Freud, di uno Jung, di un Kerényi…

Robert Graves nacque a Londra nel 1895, figlio dello scrittore irlandese Alfred Perceval Graves e di madre tedesca. Dopo gli studi compiuti a Oxford, combatté in Francia durante la prima guerra mondiale; esperienza, questa, rievocata nelle prime raccolte di versi. Finita la guerra, insegnò letteratura inglese a Oxford e, per breve tempo, in Egitto. Nel 1927 si trasferì a Maiorca, dove, salvo una breve parentesi, rimase sino alla morte, avvenuta nel 1985. Scrittore molto prolifico, pubblicò una quindicina di raccolte poetiche, numerosi romanzi e una mole notevole di saggi. La sua fama è legata soprattutto a importanti studi sulla mitologia: La dea bianca (1947), I miti greci (1955) e, in collaborazione con Raphael Patai, I miti ebraici (1963); e a una serie di romanzi storici dedicati alla classicità: Io, Claudio (1934), Il divo Claudio (1934), Belisario (1938), Io, Gesù (1946) e La figlia di Omero (1955).

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