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I Misteri Egiziani

I Misteri Egiziani

Abammone Lettera a Porfirio

Autore/i: Giamblico

Editore: Rusconi

prima edizione, introduzione, traduzione, apparati, appendici critiche e indici di Angelo Raffaele Sodano.

pp. 488, Milano

Questo trattato, noto sotto il titolo I misteri egiziani e per lo più attribuito congetturalmente a Giamblico, ha avuto larga fortuna nella tarda antichità e Ficino lo ha richiamato a nuova vita sulla fine del Quattrocento, proponendone una prestigiosa versione latina e consacrandolo in quella rosa di classici fra i quali spiccavano gli scritti attribuiti a Ermete Trismegisto, Zoroastro e Orfeo, ritenuti i depositari della originaria sapienza teologica e filosofica.
Si tratta, come qualcuno ha acutamente rilevato, di una sorta di «breviario del paganesimo al suo tramonto», contenente l’estremo tentativo di spiritualizzare al massimo l’antica religione politeistica, utilizzando alcuni concetti neoplatonici, ma soprattutto la teurgia e la magia religiosa.
La teurgia è molto più dell’antica teologia: quest’ultima si limitava a parlare del divino; la prima invece portava a un coinvolgimento con la vita del divino e a una unione essenziale con il medesimo. La teurgia viene presentata come un’arte, mediante la quale, con opportuni atti, simboli e formule, non compresi dalla ragione umana ma solo dagli dèi, l’uomo può congiungersi con gli dèi stessi e beneficiare dei loro influssi e della loro potenza.
La teurgia è dunque intesa come una sorta di attività meta-razionale. Non si tratta di una autonoma attività degli uomini che sale agli dèi e li raggiunge, ma piuttosto della stessa potenza divina che libera gli uomini da questo mondo per unirli agli dèi. Il fine supremo della teurgia è la felicità, che si realizza pienamente allorché essa conduce l’anima al demiurgo universale e la unisce alle potenze divine, facendole vivere la vita stessa del divino. È evidente che nella teurgia il tardo pagano cercava qualcosa di analogo a quello che i cristiani cercavano nella grazia e nei sacramenti, sia pure su ben altri fondamenti, e che la fiducia nella pura ragione era ormai del tutto tramontata presso i Greci. Di qui il grande fascino di quest’opera, che appare come un grandioso epilogo di una grande epoca.
Angelo Raffaele Sodano, che è fra i maggiori specialisti mondiali su questo periodo, propone di attribuire l’opera, non a Giamblico, ma alla sua scuola, e di ritenere il sacerdote egiziano Abammone, menzionato nel titolo dei codici, come il vero ispiratore. L’opera si presenta come novità assoluta, non solo per la traduzione critica accuratissima (in alcune parti lo stesso Sodano ha ricostituito il testo greco originario), ma anche e soprattutto per l’imponente commentario, con i relativi apparati, che costituisce una novità a livello internazionale.

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