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Gioco dell’Oca di Medusa

Gioco dell’Oca di Medusa

Gioco Oca Classico (63 caselle) Orizzontale

Autore/i: Doccioli Susanna; Verdini Stefano

Editore: Edito in proprio

edizione in 100 copie numerate, con una presentazione di Roberta Borsani “Rinascita o Morte. La Sfida di Medusa”.

Disegnato a mano e colorato con il computer, contiene: tabellone di gioco, 6 pedine, 2 dadi, regole del gioco, dimensioni: 450X680, Roma

Gioco di 63 caselle numerate distribuite su una testa di Medusa. Il gioco illustrato da Susanna Doccioli e progettato insieme a Stefano Verdini è stato stampato in 100 esemplari numerati.

CASELLE: mute.
REGOLE: a sinistra sul tabellone:

DICHIARAZIONI:
Per decidere chi inizia, ogni giocatore tira di dadi una volta: comincia chi ha ottenuto il punteggio più alto e si prosegue in senso orario. Si decidono anche il valore ed il tipo di pegni da pagare durante il Gioco. Il giocatore di turno tira i dadi e fa avanzare il proprio personaggio di tante caselle quanti sono i punti indicati dai dadi. Lungo il percorso ci sono delle caselle speciali che producono il loro effetto quando, finendo il movimento, si arriva su una di esse. Se un giocatore viene raggiunto da un altro nella sua casella, paga pegno e retrocede nella casella da cui è partito chi l’ha raggiunto.

Le Caselle Speciali:

  • Caselle “Oca o le sue Piume” (5, 9, 14, 18, 23, 27, 32, 36, 41, 45, 50, 54, 59, 63): vai avanti ripetendo l’ultimo punteggio ottenuto con i dadi. Questa regola conferma il valore di “Guida Provvidenziale” delle Oche. Le Oche donano delle “Ali” che permettono di avanzare rapidamente; non ci si può fermare sulle loro caselle. Il gioco comprende 14 “Oca o le sue Piume” con la regola: 4 caselle – un’“Oca o le sue Piume”, 3 caselle – un’“Oca o le sue Piume”.
  • Caselle dei “Dadi” (26, 53): se un giocatore ottiene al primo lancio il numero 9 si sposta alla casella 26 oppure alla 53, in base a come è stato ottenuto il 9. Chi ottiene 3 e 6 col primo lancio va subito alla casella 26, chi ottiene 4 e 5 col primo lancio va subito alla casella 53. Questo perchè se un giocatore ottiene 9 al primo lancio arriverebbe subito alla fine del percorso, in quanto la disposizione delle oche, a distanza di nove, facendogli replicare ogni volta il punteggio iniziale lo porterebbe immediatamente al 63.
  • Casella 6 “Il Ponte”: paga pegno e salta immediatamente alla casella numero 12.
  • Casella 19 “L’Osteria del Tempo Perduto”: paga pegno e resti fermo un turno.
  • Casella 31 “Il Pozzo dell’Errore Grave”: paga pegno e resti fermo fino a che un altro giocatore non viene a liberarti fermandosi su di essa.
  • Casella 42 “Il Labirinto”: paga pegno e torna alla casella da dove sei arrivato.
  • Casella 52 “La Prigione”: paga pegno e rimani fermo fino a quando un altro giocatore non ti aiuta a trovare l’uscita, ovvero non capita su questa casella e prende il tuo posto.
  • Casella 58 “La Morte”: paga pegno e torna all’inizio del gioco.

Obiettivo del Gioco:
Vince chi raggiunge per primo l’arrivo ed entra nel “Castello o Giardino dell’Oca” (casella 63) incassando il totale della posta e dei pegni pagati. L’arrivo deve essere raggiunto con un punteggio dei dadi esatto, altrimenti si deve tornare indietro di tante caselle quanti sono i punti in eccedenza. Se, dopo essere tornati indietro dall’arrivo con i punti in eccedenza, si capita sulla casella “Oca o le sue Piume”, si retrocede, anziché andare avanti ripetendo l’ultimo punteggio ottenuto con i dadi.

Rinascita o Morte. La Sfida di Medusa
“Poiché voi stessi mi costringete, chiederò aiuto a una nemica”: così Perseo si rivolge ai guerrieri che, alterati dall’ira e soverchianti di numero, lo incalzano da ogni lato pregustando la sua fine. Auxilium …ab oste petam,: l’eroe libera dal sacco la testa di Medusa che lui stesso ha poc’anzi provveduto a recidere con un falcetto adamantino fornitogli, pare, da Ermes. Sotto la maledizione del suo sguardo gli avversari divengono pietra, ciascuno immortalato nell’atto di tracotanza o viltà che li guida. Orrore che salva dall’orrore, principio di morte che salva dalla morte, la testa di Medusa ha svolto fin dall’antichità una funzione di carattere paradossalmente apotropaico.  Medusa  (da “medo”, “proteggere”) è la guardiana fedelmente dedita a un solo compito, per il quale è disposta a rinunciare a ogni immagine sociale ed avvenenza: tenere lontano il male. Della femminilità che incarnò un tempo, capace di suscitare desiderio perfino nel padre degli dei, ora resta solamente una sorta di esaltata fedeltà alla mano che la guida. Una brama distruttiva che il prescelto piega ai propri disegni.  La chioma di serpi sibilanti suscita con le sue molte volute l’immagine vorticosa della dinamicità della vita (biologica, spirituale e psichica) straordinariamente feconda. La sua bontà si misura in termini di capacità creativa e non si lascia imbrigliare da alcuna connotazione morale e tanto meno moralistica. Guidata da una saggezza intrinseca e istintiva può trovare i suoi sentieri e le sue direzioni, anche nella foresta più fitta, rovesciando il male in bene, la morte in nascita, leggendo speranza laddove altri trovano disperazione e null’altro. Soltanto, deve trovare l’eroe capace di radicali rovesciamenti. Colui che saprà credere nella bontà delle cose, quando la malvagità sembra invece con forza affermarsi, al di là di ogni ragionevole dubbio. E la bontà, come già si è detto, è la Vita, la sorgente da cui sgorgano innumerevoli le forme. E’ la forza divina che sempre sceglie l’essere, preferendolo al nulla. Dalle gocce di sangue grondanti dalla testa mozzata di Medusa nascono l’anfisbena e il corallo. La prima è costituita da un serpente  a due teste, una “bestia impossibile” (2) in cui si fondono due corpi orientati in senso opposto, costretti a ripiegarsi l’uno verso l’altro rinnovando per sempre il duello metafisico tra male e bene, vita e morte, Ahura Mazda e Arimane, Cristo e Satana. Il secondo – il corallo – è imparentato strettamente con il sangue: quello di medusa e quello del Redentore. Il corallo venne infatti spesso usato come simbolo del sacrificio e della passione purificatrice del Cristo crocifisso e risorto. Un lapidario del XIII secolo ne decanta le proprietà apotropaiche, preserva coltivazioni e raccolti e scaccia i demoni. Proprio come Medusa. Gli autori di questo particolarissimo mandala, che con una felice intuizione sposa la testa della Gorgone e il labirinto salvifico del gioco dell’Oca, mi pare offrano ai nostri sensi la meravigliosa rappresentazione della Vita – unità ricca e cangiante, mille volte contraddittoria, mille volte inafferrabile, sempre “di là” – che solamente  l’arte e la poesia, madri naturali di simboli, possono esprimere. Lo sguardo fascinoso, ben fermo su un orizzonte che corrisponde allo sguardo del giocatore, non lascia scampo. Potente, ineludibile ed eterno è l’attimo in cui si fissa lo scambio di sguardi che si riflettono l’uno nell’altro. Uomo… scite te ipsum. Conoscere se stessi può dare le vertigini. Come chinarsi su acque vorticose dal ponte, casella speciale del gioco dell’Oca. Un cuore pavido può subire la malia paralizzante del rimorso e disperare. Questo desidera la testa di Medusa innalzata sulle mura della città di Dite dai diavoli che vogliono impedire il “fatale andare” del divino cantore della redenzione. Dante sembra assorbito dal simbolismo solo negativo della Gorgone. Il suo spirito impregnato di filosofia tomista, ordine e gerarchia, non può comprendere il carattere primigenio, istintivo di un simbolismo molto antico, che precede di gran lunga le ordinate dottrine morali elaborate all’interno delle grandi confessioni religiose. L’incomprensione tra il disordine creativo della Gorgone e il senso di  misura delle costruzioni intellettuali occidentali  è all’origine della storia di Medusa, fanciulla mutata in mostro da Atena che la sorprende nel suo tempio mentre amoreggia con Zeus (o forse, secondo alcuni versi di Ovidio, subisce da lui violenza). Atena, nata dalla testa di Zeus, dea della femminilità misurata e strategica che presiede alla tessitura, all’ordinato consorzio della polis e alle strategie militari, detesta l’anarchica istintualità di Medusa, che rende repellente d’aspetto senza tuttavia poterne spegnere lan prodigiosa fecondità (dalla ferita della testa recisa dal corpo nasceranno il cavallo alato Pegaso e un gigante di nome Crisaore, dalle gocce di sangue come  già si è detto l’anfisbena e il corallo). Secondo alcune versioni poco conosciute del mito, pare, Medusa si caratterizza come Grande Madre terribile per voler “trattenere nel cranio i figli non nati” (3). Preferirebbe, quindi, una procreazione incontrollata, attraverso il sangue, non contaminata dalla coscienza. Ma chissà, forse non è una sua scelta. Forse è condannata da Atena a non poterli generare, a covarli dentro rimuginando. Improduttiva sul piano dell’intelligenza razionale e della forma, dove regna la sua nemica, Medusa (creatura del dionisiaco e dell’a-peiron)  figlia come i serpenti, a dispetto appunto di Atena. I nostri artisti hanno colto il senso profondo di questa grande madre, punita dalle civiltà del logos e mortificata dal perbenismo delle religioni olimpiche. Il volto scuro di una molto enigmatica Iside, colta nella sua versione notturna, socialmente poco accettabile, è circondato da serpi. Di cosa sono portatrici…veleno o farmaco? L’ambiguità naturale del simbolo si ripresenta. La morte e la vita si dissetano alla stessa fonte, così insegna, nel suo versante di luce, la fiaba di Amore e Psiche. Miti, quest’ultimo e quello di Medusa, che parrebbero lontani l’uno dall’altro. Eppure non sono le sorelle di Psiche a convincerla che l’amante, con il quale giace nel buio senza goderne la vista, potrebbe essere un mostro? La visione di Amore si rivelerà  distruttiva per l’eccesso di Luce. Quella di Medusa  lo è ugualmente, perché raggelante. Del resto non è forse vero che per la teologia negativa dei mistici del IX e X secolo, appaiono più indicati al divino attributi mostruosi, in grado di salvaguardare il senso della trascendenza di Dio, piuttosto che quelli ricavati da una perfezione umana, troppo umana? Come per  le caselle del gioco dell’oca è l’eroe a decidere tra la vita e la morte, il cambiamento iniziatico, la rinascita (la mutazione del serpente) e la morte (la paralisi interiore, il disseccamento delle energie vitali). L’umore che si concentra nel morso di un serpente agisce in profondità, genera dolori, febbre e visioni. Per questa ragione in alcune culture rappresentava un tempo una prova iniziatica. Come finire nella prigione o nel pozzo del Gioco dell’oca. Angoscia, abbandono, condanna sociale e peggio: lutto e morte. Situazioni limite inevitabili sul nostro cammino. Medusa sempre veglia su di noi o contro di noi, con il suo sguardo letale. Sarà l’eroe, il pellegrino del Gioco dell’Oca, ad afferrare il suo capo e orientarne lo sguardo sopra i nemici. A cavalcarne la corrente liberandola dall’odio e da quanto di orribilmente vendicativo vi è commisto, spronandola verso l’aurora di un logos creativo. I numeri delle caselle del gioco che contrassegnano i serpenti rappresentano quel principio di verità  che rischiara l’esistenza leggendola attraverso il linguaggio dei simboli. Nella notte profonda, dove si genera nel buio (angeli o mostri), la luna del sapere poetico, della giocosa riscrittura del mondo, evoca  una consapevolezza millenaria, depositaria dei grandi sogni in cui l’umanità riannoda i fili  del suo perenne viaggio. (Roberta Borsani)

Gioco dell’Oca di Medusa Tabellone
Gioco dell’Oca di Medusa Intero

Il Gioco dell’Oca è il gioco di percorso più antico, lo schema a 63 caselle è quello della tradizione.
Il percorso segue un movimento a spirale, può simboleggiare una situazione, una vicenda, un’avventura, lo scorrere del tempo, la vita.
Le caselle sono connotate da alcuni simboli, rimasti invariati da secoli.
Come nella vita siamo di fronte alla sorte, nel gioco si tirano i dadi, ci sono caselle fortunate e sfortunate.
Continuamente si susseguono immagini, sorprese, emozioni… in vista dell’arrivo.

Il Gioco dell’Oca è «un labirinto popolare dell’Arte sacra e una raccolta dei principali geroglifici della Grande Opera» (Fulcanelli, Le Dimore Filosofali).

«Questo ruolo iniziatore dell’oca è di certo estremamente antico […] Ne fa fede lo straordinario successo del Gioco dell’Oca, “ripreso” dai Greci, come si diceva al tempo di C. Perrault. E’ un gioco sostanzialmente simbolico; se ne attribuisce l’invenzione a Palamede, inventore anche degli scacchi e della dama. Il gioco consiste nel far avanzare una pedina, a seconda del numero tirato dai dadi, sulle caselle di una spirale che si avvolge verso l’interno da sinistra a destra. Ogni 9 caselle c’è un’oca diversa, fino alla sessantatreesima, che raffigura il giardino dell’oca. La prima casella è una porta o un portico. Quindi si alternano immagini simboliche, dei ponti, una locanda, un pozzo, un labirinto, la prigione, la morte. Alcuni di questi ostacoli obbligano a tornare indietro, e il giocatore attraversa così un terreno insidioso e accidentato. Si tratta senza dubbio di un gioco iniziatico, ma se ne è perduta la chiave. Eliphas Lévy vi vedeva una variante dei tarocchi, di cui riconosceva nei geroglifici le immagini tradizionali» (Jean Paul Clébert).

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