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194 Storie di un Segno

Un eccitante gioco di rimandi tra storia, cinema, letteratura, disegni e acquarelli originali del Maestro dell'avventura.

di
Editore: Edizioni Socrates
Prezzo: € 20,00

Informazioni: prefazione di Domenico De Masi. - pp. 500, 690 illustrazioni a colori, 792 illustrazioni in b/n, Roma
Stampato: 1996-10-01
Codice: 978887202010

Storie di un segno è un libro molto singolare. Un grafico che ha conosciuto la fama internazionale - Michele Spera - si racconta senza esitazioni, con un entusiasmo e una passione tutte mediterranee. E comincia dal Sud, un marchio di fabbrica impossibile da cancellare e dal quale è impensabile prescindere.
Rievoca l'asprezza della terra lucana, la generosità della sua gente e il legame viscerale a un luogo che non offre nessuna speranza di realizzazione dei propri sogni, racconta la decisione dolorosa e inebriante di prendere la strada per Roma e ritrae i grandi personaggi del mondo dell'arte e della politica che lavorano nella capitale negli anni sessanta: Leonardo Sinisgalli, Vito Riviello, Ugo La Malfa.
Contemporaneamente alla ricostruzione della sua vicenda autobiografica, Spera scrive - con la precisione tecnica e scientifica di un manuale di grafica - la storia dell'evoluzione del suo segno, così distante dal suo carattere: razionale, geometrico, modulare quanto lui è invece sanguigno, fantasioso, passionale. Dai mobili disegnati per arredare il piccolo appartamento in centro che divide con Vito Riviello al suo arrivo a Roma, ai marchi per i grandi committenti - il TG2 della Rai, la Innocenti, la Maserati - alle energie spese per inventare l'immagine del partito repubblicano. Quasi duecento brevi storie, corredate da più di mille immagini, fotografie, disegni, fanno di questo di Spera il primo libro che fa uscire la grafica dal ghetto nobile degli addetti ai lavori.

Incipit
HO FATTO UN VIAGGIO…
Ho ritrovato i libri che leggevo da ragazzo con le consunte copertine ridisegnate, i compagni della mia giovinezza, le carte gualcite e scolorite dal tempo. Le antiche fotografie con i nomi appuntati, i miei poeti, le traduzioni da Catullo a cui mi applicavo con la testa china durante le ripetizioni da Mimì, che mi tirava su dalle orecchie e che poi è morto impiccato. Gli anni del collegio fuori dalle mura della mia casa, di cui ricordo solo le mie paure.
Ho rivisto i miei primi disegni del liceo, al “Quinto Orazio Flacco”. Non sapevo allora di questo mestiere. Fu Nino Calice, il mio amico, che poi era il più bravo della classe, a dirmi che avrei dovuto fare il grafico. Nino era di Rionero faceva il pendolare per venire a studiare a Potenza. Io l’ospitavo a casa mia e lui mi dava una mano, mi aiutava in quegli studi che non amavo. Era già nella vita, dialogava con i professori quando noi preferivamo il silenzio, l’anonimato degli incolti.
Ho ripensato agli antichi compagni di strada, Pietro Soldi che allargava i confini delle nostre giornate parlandoci di Gobetti, di Salvemini, di Dorso, del nostro Sud senza speranze, che ci faceva compagnia e ci indicava le vie dei trapianti e della fuga. Dovettero passare ancora anni perché fossimo maturi per partire.
Potenza aveva i suoi segreti. Ci sono ritornato tante volte. Non mi do pace per quelle strade che non esistono più, la villa dei Gavioli o quella dei Viggiani, l’Epitaffio, la fontana all’incrocio dei Piani del Mattino dove ora vagheggiano aeroporti, la Macchia, i luoghi, insomma, della mia infanzia, quelli che ho amato.
E aveva un’unica libreria, Potenza, “la Libreria di Vito Riviello”, dove attraverso una botola si scendeva ad un buio sottano. Lì, accalcati, compivamo i nostri viaggi, guardavamo lontano. Ci preparavamo a partire.
Non tutti partirono. Ninì Ranaldi restò lì: si sparò un colpo di pistola alla tempia, non so quale disperazione lo uccise.
[…]
Dopo qualche anno Vito mi raggiunse a Roma, abitavamo un piccolo appartamentino in cima alla città. Si scrivevano poesie e si dipingevano quadri pop. Avevamo affidato i paesaggi lucani, i cieli del meridione, alla memoria.
Rammento gli studi di architettura, le mostre, la scuola di incisione di San Giacomo, la borsa di studio per cartellonisti dove insegnavano Manfredo e Brini, la scuola del nudo di Villa Medici, gli incerti esercizi di calligrafia.
Ho ripercorso i primi manifesti di allora inventati con carte colorate, con i caratteri incollati, disegnati con le matite. Il primo, del 1962, era per un convegno del partito repubblicano sul Mezzogiorno: misi l’Italia rovesciata, l’illusione di portare il nord nel meridione, e l’attacchino ce li affisse tutti capovolti.
La tipografia di allora aveva il mettifoglio a mano, lo spessore dell’inchiostro potevi sentirlo con le dita: forse per questo i nostri volantini cadevano sempre in piedi, come un gatto quando ti scappa dalle braccia. Fu così che cominciai a fare grafica politica.
Ma questa è un’altra storia. (Marina di Pietrasanta, 1996)

Michele Spera nasce a Potenza nel 1937. Compiuti gli studi, si trasferisce a Roma, dove frequenta la facoltà di Architettura, l'Accademia di Nudo di Villa Medici e studia incisione alla scuola comunale con Attilio Giuliani.
Comincia a lavorare nel mondo dell'industria e parallelamente, dal 1962, collabora per il partito repubblicano, chiamato da Ugo La Malfa a inventare l'immagine del partito emergente attraverso una nuova concezione della grafica politica. Collabora a varie testate, tra le quali "L'Espresso" di Livio Zanetti. Insegna in varie scuole, in Italia e all'estero.

Il volume è disponibile in copia unica

Libro che può recare eventuali tracce d'uso.

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