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Il Mito della Malattia Mentale

Fondamenti per una teoria del comportamento individuale

di
Editore: Il Saggiatore
Informazioni: prima edizione, prefazione e introduzione dell'autore, traduzione di Francesco Saba Sardi. - pp. XII-456, Milano
Stampato: 1966-09-01
Codice: 500000003876

Psichiatri e psicoanalisti prestano oggi la loro assistenza a una massa di pazienti sempre più formata da pazienti di massa. A quel genere di «trattamenti» adesso si ricorre come si ricorreva ieri, quando i microbi erano più di moda, alla tintura di iodio per ogni sbucciatura, o come si fa uso degli antibiotici per ogni mal di gola. La psichiatria e le varie specie di psicoterapia, sostiene l'autore di questo libro, sono adoperate come tranquillanti sociali. Ma a tanta popolarità, a tanta prontezza nel servirsene, non corrisponde più altrettanta certezza scientifica dei loro fondamenti. In Europa e in America, sia la, psicopatologia che la psicologia del profondo vedono moltiplicarsi le posizioni deviazioniste: Thomas S. Szasz ne occupa una delle più radicali e combattive. Attraverso un'adeguata esperienza di psichiatra, egli si è reso conto di quanto sia inesatta, e propriamente mitica, la nozione di malattia mentale, e. quali inconvenienti essa produca nella terapia. Storicamente giustificata, quando apparve, non lo è razionalmente. Una accurata analisi linguistica, condotta coi criteri prevalenti nell'attuale cultura americana, gli permette non solo di distruggere quella nozione; ma di attaccare a fondo la stessa psichiatria, intesa come attività pseudomedica. L'operazione può parere crudelmente moralistica, in quanto sottrae agli uomini, sempre più tentati di fuggire in quel tipo di «malattie», la speranza in una tecnica guaritrice. Ma Szasz elabora altri rimedi, studiando il comportamento umano al lume delle più moderne teorie del gioco. La psichiatria consisterà appunto nel chiarire e «spiegare» i giochi che gli individui fanno tra loro, e come li hanno appresi, e perché amano farli. Da questi accenni, cosi schematici e lacunosi, si potrà sospettare che le dottrine di Szasz si impernino su riferimenti, perfino metaforici, a sistemi e costruzioni culturali assai più lontani dalla realtà psichica di quanto non siano le dirette osservazioni ed esperienze mediche che esse intendono scalzare. Per fortuna, Szasz unisce al coraggio di essere chiaro il dono della chiarezza: se di fronte ai competenti si assume le dovute responsabilità scientifiche, non pretende che il lettore normale sia un iniziato e non muove passo senza dargli tutte le informazioni necessarie a seguirlo. La sua semplicità, però, non è mai semplicistica: si vedano le contestazioni a Freud, che non dissimulano la complessità dei problemi, ma li hanno elaborati quanto occorre per illimpidirli in un discorso immune dai modi ambigui di altri revisionisti. È probabile che il libro faccia scandalo tra i seguaci di indirizzi diversi.
Meglio cosi: vale la pena che sia discusso, perché si propone di segnare «l'inizio di una scienza e tecnologia dell'esistenza umana» e comunque è in grado di promuovere, o addirittura provocare nuove ricerche. La traduzione italiana varrà inoltre a introdurre, nella nostra cultura, una teoria del comportamento, rimasta finora estranea, o in ogni caso, inattiva.

Date principali: nel 1920, Thomas S. Szasz nasce a Budapest; nel 1938 per note ragioni emigra negli Stati Uniti; nel 1941, si laurea in fisica all'Università di Cincinnati; nel 1944, si laurea in medicina all'University College of Medecine. Compie un periodo di tirocinio presso il Chicago Institute for Psychoanalysis, dove poi fa parte per cinque anni della direzione scientifica. Nel 1956, gli viene affidata una cattedra di psichiatria nell'Upstate Medical Center della State University di New York (Syracuse). Ha pubblicato a tutt'oggi oltre settanta lavori su periodici di psichiatria e di neurologia, ha contribuito a simposi concernenti le stesse materie, oltre che la logica, la filosofia, la teoria della scienza; è intervenuto in numerosi congressi. L'altro suo libro di grande risonanza, prima di questo Mito della malattia mentale, è del 1957, si intitola Pain and Pleasure e da parecchi critici viene considerato come una delle tappe più notevoli sulla via aperta da Freud con Al di là del principio del piacere.

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