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Tiberio o la Spirale del Potere

La forza irresistibile del dispotismo

di
Editore: Rizzoli
Prezzo: € 24,00

Informazioni: introduzione dell'autrice. - pp. 312, nn. tavv. b/n f.t., Milano
Stampato: 1981-10-01
Codice: 500000002548

Perdura, sul conto di Tiberio, la leggenda turpe e sinistra che fu creata da Tacito, da Svetonio, da Dione Cassio, i quali attinsero a fonti dell'opposizione.
La storiografia moderna, al contrario, e la psicanalisi tendono a riabilitarlo e spesso cadono nell'eccesso opposto. Da molti anni non è uscito in Italia uno studio che ponga questo imperatore nella giusta luce.
Lidia Storoni Mazzolani ha concentrato la sua attenzione non solo su la psicologia torbida e complessa del personaggio ma su le operazioni militari, su le scelte culturali, su i processi e, soprattutto, su la funzione che la storia gli impose: operare il trapasso dal Principato all'Impero.
Il potere di Augusto era stato una dittatura d'emergenza, ostentatamente rispettosa delle norme repubblicane, più volte deposta e sempre nuovamente assunta con signorile riluttanza; con Tiberio, il primo successore adottato e apertamente designato, ebbe inizio la successione ereditaria e l'assolutismo.
In Tiberio si innesta l'anello tra un regime che voleva sembrare temporaneo, un potere deferito dal Senato e quindi revocabile, che si basava sul comando militare e sul prestigio morale, e un'autocrazia unica e perpetua. Il governo di Augusto era stato un prodigio di ambiguità e di equilibrio; che fosse trasmesso a un successore stava a provare che non era soltanto un rimedio transitorio a mali transitori, il ritorno dell'ordine dopo decenni di violenza, ma una necessità storica.
I poteri dell'imperatore non ebbero mai definizione costituzionale; si delinearono da sé negli anni di Tiberio che furono anche gli anni della Giudea di Cristo e della sua condanna. Fu allora che la persona del Principe fu assimilata allo Stato, il vilipendio contro di lui fu equiparato ad alto tradimento, a sacrilegio. Finì per sempre la libertà di parola; l'oppositore del regime diventò " nemico pubblico" . Era stato inventato - scrive Tacito - un reato che non si conosceva.
Il compito di trasformare il principato in monarchia di tipo orientale fu affidato a un repubblicano d'antichissima stirpe, nipote e figlio di patrizi che erano stati avversari politici di Cesare e di Ottaviano. Tiberio era un conservatore e, come tale, alieno dal culto della personalità, schivo, frugale, parsimonioso; un uomo di toga e di spada e, al tempo stesso, un intellettuale. Rispettava il Senato e cercò di rendere ad esso il prestigio, le prerogative e anche le responsabilità d'un tempo; ma l'antica classe dirigente, decimata dalle guerre civili, intorpidita nell'edonismo e nel lusso, era incline al lucro e al servilismo, avida di privilegi, ma non disposta ad assumersi doveri; se Tiberio, nella sua cupa vecchiaia, infierì contro i senatori, fu forse per punirli d'averlo deluso.
Riteneva la costituzione repubblicana la migliore e sperò di restaurarla; ma i tradimenti, le bassezze, le segrete paure lo convinsero che non c'è principe che non diventi autocrate e non c'è autocrate che non trascenda; le delazioni, le confische, le condanne non dipendono dalla crudeltà dell'individuo, ma dalla logica del sistema. E se qualcosa trapela del chiuso animo dell'Imperatore è la sua intima riluttanza al sistema; la sua vergogna, alla fine, d'aver ceduto ad esso. La stessa amara chiaroveggenza ispirò a Tacito, conservatore deluso, il ritratto memorabile, contraddittorio e tragico, dell'erede di Augusto.

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