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Viso Negato – Avere Vent’Anni a Kabul : la Mia Vita Rubata dai Talebani

Viso Negato – Avere Vent’Anni a Kabul : la Mia Vita Rubata dai Talebani

Titolo originale: Visage Volé

Autore/i: Latifa

Editore: Sonzogno

con la collaborazione di Chekeba Hachemi, prefazione di Emma Bonino, traduzione di Claudia Assirelli, Lucia Babina, Raffaella Camaggi, in copertina: fotografia Yves Dejardin per gentile concessione di Éditions Anne Carrière, Paris.

pp. 208, Milano

La vita comunque finisce, Non ho bisogno di essere sottomessa Se la mia vita è sottomissione, Non ho bisogno di questa vita. Nella schiavitù Possono piovere gocce Al cielo dico allora Non ho bisogno di questa pioggia.

Questo libro racconta gli avvenimenti passati e recenti che io e la mia famiglia abbiamo vissuto nel nostro Paese, l’Afghanistan.
Spero che spalancherà le porte alle altre donne, quelle la cui parola è sotto chiave, che hanno sepolto la loro testimonianza in fondo al cuore e nella memoria. Lo dedico a tutte le ragazze e le donne afgane che hanno conservato la dignità fino all’ultimo respiro. A tutte le donne, private di ogni diritto nel loro Paese, che vivono ancora nel buio in questo XXI secolo. A tutte le donne giustiziate in pubblico sotto gli occhi dei loro figli e dei loro cari, senza pietà, senza processo. Lo offro anche a mia madre, che mi ha aiutata in ogni momento con le sue lezioni di libertà e di resistenza. (Latifa)

Latifa è nata a Kabul nel 1980. La sua è una famiglia della media borghesia afgana, colta e benestante. Ultima di cinque figli, la sua più grande aspirazione di adolescente è quella di diventare giornalista. Come molte coetanee occidentali, dopo la scuola ama frequentare gli amici, leggere un buon libro, fare un po di sport, andare al cinema: è una ragazza allegra, piena di gioia di vivere.
Poi, il 27 settembre 1996, la fine di tutto. La setta fondamentalista islamica dei talebani con un colpo di Stato prende il potere in Afghanistan. Le strade si svuotano. Il telefono non suona più. La radio tace.
Improvvisamente, anche le cose più normali per una ragazza di sedici anni diventano proibite: cancellato il suo diritto a studiare, a lavorare, a uscire senza la scorta di un parente maschio. Cancellata addirittura la sua identità, con l’obbligo di indossare il “chadri”, abito-armatura che la imprigiona dalla testa ai piedi trasformandola in un fantasma. Ovviamente non è la sola. I talebani cominciano ben presto a emanare editti che se non fossero drammaticamente reali sembrerebbero usciti da un incubo medievale: le donne non possono più lavorare, andare a scuola, frequentare i bagni pubblici, calzare scarpe che facciano il minimo rumore, ridere ad alta voce, incontrarsi in occasioni di festa, affacciarsi alle finestre, nemmeno essere ritratte in fotografia. Non possono essere assistite da un medico di sesso maschile. E allo stesso modo anche a sua madre, una ginecologa, è vietato visitare le pazienti.
Ben presto, all’incredulità si sostituisce la paura. In una delle rare passeggiate in città, Latifa è testimone diretta di una scena agghiacciante: una ragazza della sua età viene picchiata a sangue, linciata senza alcuna possibilità di difendersi. La sua colpa? Indossare scarpe bianche, il colore della bandiera talebana, appena visibili sotto il chadri. Spaventata, umiliata, insultata, obbligata a vivere reclusa, Latifa inizia la sua piccola, disperata battaglia organizzando una specie di scuola clandestina fra le mura di casa: i rischi sono altissimi – se scoperta, verrebbe condannata a morte – e lei sa che poco può cambiare, ma insegnare restituisce un po’ di senso alla sua vita.
Una vita senza volto e senza futuro, proibita, violentata, racchiusa in un bozzolo di stoffa. Fino al maggio del 2001, quando, con l’aiuto decisivo del periodico parigino Elle, riesce a fuggire e trova rifugio in Francia.
In Viso negato Latifa racconta la sua perdita dell’innocenza, ma anche la voglia di guardare avanti con speranza, attraverso le maglie sempre più strette del chadri. Questa è la sua storia. La storia straordinaria di una giovane donna afgana come tante, terrorizzate e oppresse nel nome di un Allah che forse non ha mai voluto ciò che i talebani impongono come parola di Dio.

Chékéba Hachemi, traduttrice e curatrice del testo, ha dedicato la sua vita alla causa delle donne afgane. L’associazione da lei creata in Francia nel 1994, Afghanistan Libre, raccoglie donazioni destinate alla costruzione di scuole e di ospedali in patria.

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