Libreria Editrice OssidianeLibreria Editrice Ossidiane

Io Sono Quello - 2 Volumi

I dialoghi di un «sapiente di villaggio»

di
Editore: Rizzoli
Informazioni: collana diretta da Elémire Zolla, edizione italiana, introduzione e traduzione a cura di Grazia Marchianò. - vol. 1 pp. 208, vol. 2 pp. 208, Milano
Stampato: 1981-10-01
Codice: 500000003200

La filosofia ancor oggi in India può presentarsi come in Grecia fino a Socrate. Lì ancora capita che un uomo qualsiasi sia ghermito dall'amore della sapienza e che magnetizzi coloro d'intorno che oscuramente pativano dell'identico amore, senza rendersene conto. Si forma allora per vicolacci gremiti, fra nude pareti di capanni, sotto portici di templi una scuola di filosofia, di «sapienza di villaggio», dove le questioni sono quelle che urgono in cuore e le sottigliezze nascono dal bisogno di chiarire la verità, perciò non sono da meno di quelle che si dibattono nelle accademie bramine. In queste ultime si centellinano i testi d'una tradizione speculativa nella quale ogni tendenza della filosofia occidentale è rappresentata, ma incomparabilmente più nitida e articolata. Quasi sempre l'impulso che fa sorgere una scuola di «sapienza di villaggio» porta alle rive dell'advaita Vedanta, del monismo metafisico. In Occidente la metafisica fu quasi sempre legata a un qualche potere politico, giustificò un'istituzione religiosa. Il risultato è una diffidenza quasi automatica, che è costretta a sciogliersi di netto quando una fonte indiana la enuncia con limpido disinteresse. Da noi però quasi nulla si è importato della «sapienza di villaggio» (unica eccezione il santo Ramana Maharshi) e ben poco si conosce dell'accademia bramina. E stato scialato viceversa un vedantismo ibridato a infamie ideologiche che l'India borghesuccia assimilò golosamente, come l'evoluzionismo, che Vivekananda, Aurobindo, Radhakrishnan non provarono orrore a'mescolare con le antiche verità.
Nisargadatta Mahàràj, un tabaccaio della più atroce periferia di Bombay, continua la tradizione metafisica della «sapienza di villaggio». Egli non discorre soltanto dell'essere, Parmenide contemporaneo, ma manifesta con l'accento, la qualità delle sue parole di essere diventato lui stesso l'essere senza attributi. Ha cessato di essere nato, di avere una biografia. Lo incontrò un Europeo come pochi polemico, ossessionato dal bene e dal male, dal dovere di fare il bene, convinto che la verità sia una formula verbale, ma in tutto ciò di inconsueta onestà. Rimase sgomento, giunse quasi a inveire, escogitò tutte le obiezioni, le denunce, le perorazioni immaginabili. E continuò cosi per anni e anni. Dovette arrendersi: gli stava dinanzi, dietro la forma apparente d'un uomo, ciò di cui Spinoza, Leibniz, Berkeley avevano soltanto parlato, l'essere in sé e perse. I dialoghi fra loro sprigionano una luce abbagliante, sono un flagrante adescamento a farci perdere genitori, patria, epoca per diventare il tutto. (Elémire Zolla)

Nisargadatta Maharaj (Maruti Kampli) nasce nel 1897 a Bombay. Si sposa, cresce quattro figli e per vivere fa il tabaccaio. A 33 anni conosce un maestro che gli insegna a concentrarsi sul mantra Brahmasmi ("Sono il Supremo"). Poco dopo si "realizza". Resta nella sua casa a dialogare con chiunque lo raggiunga fino all'8 settembre 1981, anno in cui muore.

Il volume non è disponibile

, new EUR in_stock