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La Vita delle Termiti

La Vita delle Termiti

Un mondo misterioso e fantastico raccontato da un grande etnologo e poeta dei primi del ’900

Autore/i: Maeterlinck Maurice

Editore: Rizzoli

prefazione di Giorgio Celli, introduzione dell’autore, traduzione di Enrico Piceni.

pp. 176, nn. ill. b/n, Milano

Nel 1901 Maeterlinck scrive «La vita delle api». «La vita delle termiti» è del 1926. Nei venticinque anni che corrono tra le due opere l’atteggiamento nei confronti della vita del poeta belga è profondamente mutato: «questo libro» scrive l’autore «potrà essere accostato a “La vita delle api”: ma il colore e l’ambiente non sono gli stessi. E, in un certo senso, il giorno e la notte, l’alba e il crepuscolo, il cielo e l’inferno. Da un lato… tutto è luce, primavera, estate, sole, profumi, spazio, ali, azzurro, rugiada e felicità senza uguale tra le allegrezze della terra: dall’altro, tutto è tenebre, oppressione sotterranea, asprezza, avarizia sordida e grossolana, atmosfera di carcere, di ergastolo, di sepolcro…». Si tratta, come sottolinea Giorgio Celli, di «una discesa agli inferi, un viaggio senza ritorno, la Visitazione di un labirinto di Cnosso abitato da un popolo cieco e terrificante. Una discesa all’inferno stercorario, anale, immaginato da Strindberg». E non soltanto questo. Non si tratta soltanto di una acutizzazione, già in germe nelle opere precedenti, del pessimismo di Maeterlinck, di una sua irresistibile propensione per i colori cupi – di questi colori sono già piene le pagine del Pélleas – oppure del viaggio dell’uomo giunto nel secondo eone della sua vita, secondo la concezione junghiana «nelle zone ctonie e sommerse, del suo io, alla ricerca del patto di alleanza del conscio con l’inconscio»; ma anche e soprattutto di una specie di parabola profetica dei destini futuri dell’umanità. Nel «comunismo integrale» del termitaio sembra quasi che Maeterlinck abbia presentito qualcosa che va oltre ad una ideologia politica realizzata; oltre il «Brave New World» huxleyano: la traduzione in realtà del mondo sognato dall’ingegneria genetica; perché cosa è d’altro questa «sinistra e prospera repubblica » in cui tutto è buono, nulla si perde, dove non esistono rifiuti «tutto è commestibile, tutto è cellulosa, gli escrementi sono usati quasi indefinitivamente, e l’escremento stesso… è la materia prima di tutte le industrie, compresa quella dell’alimentazione»; in cui ogni uovo, secondo gli imperscrutabili dettami della Mente del termitaio e le necessità della sua perfetta economia, può generare ora una regina, ora un principe, ora un operaio, ora un guerriero indifferentemente, se non, già realizzato in natura, il programma dell’ingegneria genetica? Tornano alla mente le favole più fantasiose degli anni Trenta: gli uomini senza volto del Cobra Signore delle Tenebre e gli Shmoos di Al Capp: ma la fantasia più sfrenata non arriva mai a concepire un organismo così perfetto – nel suo totale vuoto sentimentale – come il termitaio. Il mistero di questa organizzazione, o organismo perfettissimo, non era risolto quando Maeterlinck scriveva il libro, e non lo è neppure oggi, più di cinquant’anni dopo: nella sua introduzione Giorgio Celli fa il punto sulla situazione, riassumendo e commentando vivacemente le teorie più avanzate che sono state formulate da allora ai giorni nostri, esponendo l’opera del poeta alla luce dell’attualità.

Maurice Maeterlinck (Gand 1862, Nizza 1949) è stato il più importante poeta simbolista belga. Tra le sue opere più note solo il Pelleas et Melisande (1892) musicato da Debussy, e l’Uccello azzurro (1909). Fu appassionatissimo di entomologia, e la sua trilogia divulgativa dedicata agli insetti sociali, La vita delle api (1901), La vita delle termiti (1926) e La vita delle formiche (1930), gli diede fama mondiale.

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