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La Grande Immagine non ha Forma – Pittura e Filosofia tra Cina Antica ed Europa Contemporanea

La Grande Immagine non ha Forma – Pittura e Filosofia tra Cina Antica ed Europa Contemporanea

Titolo originale: La grande image n’a pas de forme

Autore/i: Jullien François

Editore: Angelo Colla Editore

traduzione e cura di Marcello Ghilardi.

pp. 312, Vicenza

«Chi impara a dipingere il bambù ne prenderà uno stelo e, in una notte di luna, contemplerà l’ombra della pianta proiettata sul muro; allora apparirà la forma vera del bambù.» Guo Xi

«Mi hanno raccontato che i maestri cinesi dicevano ai loro allievi: “Quando disegnare un albero, abbiate la sensazione di salire assieme alui, cominciando dal basso”.» Matisse

«Il pittore fa completaente il vuoto nel propio intimo in modo che i vapori, le nubi e tutto il chiasso del mondo, insieme al soffio-energia che non smette mai di chiamare alla vita tra cielo e terra, si accostino unendosi e sotto il pennello scarutiscano forme straordinarie.» Li Rihua

Invece di considerare il mondo come un insieme più o meno integrato di oggetti, il pensiero cinese lo intende come emanazione di un soffio vitale, di un’energia (qi) che si dispiega in diversi gradi di condensazione in base ai quali è più o meno visibile: la roccia è qi concentrato, la nuvola è qi rarefatto, la dimensione dello spirito e il qi allo stato più sottile e puro. È questa la ragione per cui ha meno rilievo, per il pittore cinese, l’involucro esterno delle cose, la forma “attualizzata”, mentre il suo interesse si concentra piuttosto su ciò per cui vi e forma, cioè l’energia e la coerenza interne.
In questo libro, nel quale Frangois Jullien prosegue la riflessione sulla pittura avviata nel Ritratto impossibile, l’approccio estetico del mondo cinese è reso attraverso le citazioni dei pittori-letterati di epoca Tang (618-907) e Song (960-1279), del grande Shitao (1642-1707), e del Classico dei mutamenti; ma fitti sono anche i riferimenti all’arte europea, soprattutto rinascimentale (Leon Battista Alberti, Leonardo da Vinci, Giorgio Vasari) e contemporanea (Cèzanne, Braque, Picasso).
Mentre il pensiero occidentale ha “pensato” soprattutto il rapporto tra la parte e il tutto e ha ricercato armonia derivante dalle proporzioni geometriche, facendo della forma l’oggetto principe della propria indagine, l’assunto centrale dell’estetica cinese è quello di «abbandonare la forma» esteriore per «raggiungere la somiglianza» interiore. Poiché – come scrive Wang Bi (226-249) – ogni forma determina, delimita, separa, la «grande immagine» per essere veramente grande non deve né limitare né costringere, ma contenere e dispiegare tutte le possibilità. Ciò che si deve poter cogliere in un dipinto è dunque l’affioramento visibile di una totalità invisibile sulla base dell’armonia regolatrice degli opposti complementari: yin e yang, vuoto e pieno, alto e basso, bianco e nero. In esso ogni tratto deve essere in grado di esprimere un sistema dinamico e relazionale, una “processualità energetica” che fluisce attraverso la mano e il pennello del pittore. Anche nel più piccolo dipinto il pittore cinese non raffigura mai soltanto un angolo del mondo ma, attraverso l’allusività dei tratti che fungono da indizi, l’intero processo delle cose nel gioco infinito delle sue polarità. L’inesauribilità della pittura è espressa in modo particolare, nella Cina antica, dalle figurazioni di paesaggio. E a strutturare quest’ultimo sono soprattutto la montagna e l’acqua, la montagna anzi è il soggetto preterito dai pittori perché, prestandosi ad essere vista da ogni angolatura, costituisce una sorta di sineddoche per esprimere la continua variazione del mondo, Ma l’elemento fondamentale che testimonia della riuscita o meno della pittura di paesaggio non è la riproduzione “fotografica” della realtà osservata, né la perfezione stilistica in se stessa. La vera maestria consiste nell’esprimere e dispiegare il qi che anima dall’interno ogni fenomeno perché il dipinto non sia un mero prodotto mimetico ma un fenomeno di vita a pieno titolo compreso nel movimento del tao.
La tensione che anima l’arte non può che essere la stessa tensione che anima la vita. E per riuscire davvero nell’arte, per raggiungere quella maestria che consente di realizzare quell’unico tratto di pennello che racchiude in sé tutti gli altri, come dice Shitao, è necessario cogliere il segreto che anima la vita e rendere questa davvero degna: la perfezione estetica e quella etica si incontrano e si fondono. (dalla prefazione di Marcello Ghilardi)

Francois Jullien, filosofo e sinologo, è professore all’Università Paris 7, membro dell’Institut Universitaire de France, direttore dell’Institut de la pensée contemporaine di Parigi. È autore di molti libri, tradotti e pubblicati in una quindicina di paesi. Tra le edizioni recenti: Elogio dell’insapore, Milano 1999; Il tempo, Roma 2002; Il saggio e senza idee, Torino 2002; Il ritratto impossibile, Roma 2004; Strategie del senso in Cina e in Grecia, Roma 2004.

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