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Gli Assassini sono tra Noi

Gli Assassini sono tra Noi

Memorie e rivelazioni dell’uomo che ha organizzato le ricerche dei criminali nazisti nel mondo

Autore/i: Wiesenthal Simon

Editore: Garzanti Editore

prima edizione, traduzione dall’inglese di Giorgio Brunacci, titolo originale: «The murderers among us», in sopracoperta: Fotomontaggio di S. Wiesenthal Mauthausen 1945.

pp. 352, 45 illustrazioni b/n f.t., Milano

«Se anche tu vivessi fino a poter raccontare la verità,» disse una SS al suo prigioniero ebreo Simon Wiesenthal, «nessuno ti crederebbe. Direbbero che sei matto. Ti rinchiuderebbero in un manicomio…»
Il mondo ha creduto, invece, alla verità che Simon Wiesenthal – il famoso ex architetto polacco che ha organizzato le ricerche dei criminali nazisti nel mondo va rivelando: anche perchè essa viene presentata scarna, disadorna, senza effetti, ricca soltanto dei rigorosi elementi di prova. Sono i fatti a parlare da soli, a dire l’invocazione estrema – non dimenticateci! non dimenticate! – che non possono più ripetere le bocche di undici milioni di persone, sigillate dalla morte nei campi di sterminio.
Grazie a Wiesenthal, la giustizia degli uomini ha potuto mettere le mani su Adolf Eichmann, il realizzatore della «soluzione finale», su Erich Rajakowitsch, lo sterminatore degli ebrei d’Olanda, su Franz Murer, «il macellaio di Vilma» che uccise gli 80.000 ebrei del ghetto di quella città. Sempre grazie alla sua documentazione è stato possibile identificare l’oscuro agente della Gestapo che arrestò Anna Frank, individuare il luogo dove tuttora si nasconde il vice di Hitler, Martin Bormann (responsabile tra l’altro del massacro dei 9000 militari italiani di Cefalonia), localizzare ad Addis Abeba Karl Babor, il famigerato «Herr Doktor» che uccideva gli internati nel campo di Grossrosen con un’iniezione nel cuore e che per sfuggire all’arresto si gettò in un fiume infestato da coccodrilli.
Pur grondando tanto sangue, le memorie di Simon Wiesenthal non sono soltanto un racconto di orrore. Quasi ogni pagina porta il segno di una fede più alta nel Dio di tutti gli uomini, nell’umanità stessa. Occorre sapere il peggio per diventare migliori, occorre conoscere non per vendicarsi ma per ricordare: solo se sapremo – e ricorderemo – «ciò che è avvenuto non potrà ripetersi, nè fra venti nè fra cinquanta 0 cento anni…».
Qualcuno ha paragonato Simon Wiesenthal a «un soldato che combatte ancora la sua battaglia, in un settore isolato, senza sapere che la guerra è già finita…». Ma la battaglia è in corso, dal momento che «gli assassini sono ancora tra noi». E Wiesenthal, d’altronde, si batte per l’umanità, per la storia. La sua non è solo la guerra di un «anti» contro i nazisti: è la lotta dei molti e inermi che vengono oppressi, lotta destinata a non aver fine finchè esisteranno, pochi o tanti, gli oppressori.

Simon Wiesenthal è nato a Buczacz, in Polonia, il 31 dicembre 1908. Il padre, commerciante, richiamata come ufficiale nell’esercito austro-ungarico (la Galizia faceva allora parte dell’Impero), morì nella prima guerra mondiale: la famiglia… si trasferì dapprima a Vienna, dove Simon cominciò gli studi, poi tornò nella Galizia; ma il giovane Wiesenthal non fu accolto al Politecnico polacco di Lvov, dove i posti a disposizione degli studenti ebrei erano limitatissimi, e dovette recarsi a Praga per seguire i corsi universitari. Stava mettendosi in luce come brillante architetto quando scoppiò la seconda guerra mondiale. Dopo l’occupazione tedesca, Simon Wiesenthal conobbe ben tredici campi di prigionia. Nel dopoguerra lavorò dapprima per l’Office of Strategic Services (OSS) e per il Counter-Intelligence Corps americani, quindi creò a Linz, con l’aiuto di pochi «volontari», il Centro di Documentazione sui crimini di guerra nazisti. Chiuso nel ’54, quando la denazificazione in Germania sembrava giunta a un punto morto, il Centro venne riaperto dopo la cattura e il processo di Eichmann. Wiesenthal non è più tornato a occuparsi di architettura («Mi sconfortò vedere come erano crollate sotto le bombe, in pochi secondi, le solide case che avevo costruito…») e dedica al Centro tutto il tempo di cui dispone: «Penso» dice, «di dover pagare il prezzo della vita che mi è stata lasciata.»

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