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Antologia della Mistica Arabo-Persiana

di
Editore: Editori Laterza
Informazioni: introduzione dell'autore. - pp. 264, Bari
Stampato: 1980-06-01
Codice: 500000004164

Si è detto talora che l'Islàm, religione eminentemente centrata sulla Legge canonica, non era adatta agli slanci mistici. È invece proprio il contrario: difficilmente in altre culture si troverebbe una letteratura mistica così abbondante, cosi affascinante dal punto di vista estetico, e - cosa non disprezzabile dal nostro punto di vista egoistico - così facilmente comprensibile per la nostra atmosfera religiosa. La mistica musulmana, o sufismo (da sûf, «lana», a simboleggiare il rozzo mantello di lana che contraddistingueva i più antichi mistici), ha trovato espressione letteraria in tutte le lingue dei popoli islamici, arabo, persiano, turco, urdu, sindbi, pasbto, malese e altre, ma non c'è dubbio che le sue produzioni più alte si trovino in lingua araba e persiana. Nella prima non mancano certo composizioni poetiche notevoli, come le passionali e quasi cristiane grida d'amore divino di al-Hallâj, il «martire mistico dell'Islam», crocifisso nel 922, ma vi sono fondamentali soprattutto i trattati teorici in prosa, come quelli profondi e limpidi di al-Qushayrî (985-1072) e di al-Ghazzâlî (1059-1111). Per quanto riguarda la seconda, si potrebbe ben dire che tutta la letteratura persiana, una delle più belle dell'Asia., è imbevuta di concetti mistici: dire «poeti mistici persiani» significa menzionare i grandi di quella letteratura, nella quale una sorta di neoplatonismo mistico condiziona la forma stessa, oltre che la sostanza, del poetare.
Per quanto riguarda poi il contenuto di questa mistica, essa è imperniata sul concetto fondamentale dell'Islàm, quello dell'Unità di Dio trascendente. Si può quindi dire che - malgrado certe apparenze - in questi mistici si tratta di teopanismo più che di panteismo. Cioè Dio vi è così centrale, che la esistenza stessa dell'uomo viene a scomparire, e tutto ritorna Uno, si, ma non un Uno naturalistico e romantico: si tratta di una unità trascendente in cui è anche possibile il paradosso della permanenza eterna del Santo dopo il suo annientamento al Mondo. Il Nulla - dice un grande mistico di lingua persiana, Gialâl ad-Dîn Rûmî, del XIII secolo - è «l'Officina di Dio» e le distese di quel deserto che, dal punto di vista dell'uomo, sono Nulla, diventano i Giardini del Paradiso. (Alessandro Bausani)

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