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Attore Musica e Scena

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La messa in scena del dramma wagneriano – La musica e la messa in scena – L’Opera d’arte vivente

Autore/i: Appia Adolphe

Editore: Giangiacomo Feltrinelli Editore

prefazione e cura di Ferruccio Marotti, in prima di copertina: Spazio ritmico, Il palombaro di Schiller, 1910.

pp. 256, 32 illustrazioni b/n f.t., illustrazioni b/n, Milano

Il volume raccoglie gli scritti di Adolphe Appia da La musica e la messa in scena (1895) a La messa in scena del dramma wagneriano (1899), fino a ciò che, dell’attività teorica e artistica di Appia, costituisce il punto di arrivo: L’opera d’arte vivente pubblicata a Ginevra nel 1921.
Sono scritti che si pongono come la base istituzionale per la storia della regia, ma il loro valore supera di gran lunga quello che siamo abituati ad attribuire all’opera di ogni “fondatore”: essi si prestano a letture aperte ad alcuni dei temi più stimolanti del dibattito sullo spettacolo contemporaneo.
Secondo quanto rileva Ferruccio Marotti nella prefazione al volume in cui ricostruisce anche l’insieme dell’attività teatrale dell’artista ginevrino, quel che di più “moderno” l’opera di Appia ci offre è, innanzitutto, contenuto nel rigore della sua teoria, o meglio nella teoria del suo rigore. Il sistema di Appia è deduttivo, l’unica premessa è la musica come principio ordinatore. I passaggi della deduzione si pongono tutti come una equazione il cui primo membro e costituito dalla realtà – negativa – rappresentata da ciò che il teatro è, e il secondo da ciò che il teatro dovrebbe essere, da ciò che il teatro può divenire. Ogni passaggio, in fondo, non fa che rispecchiare – nella sostanza – il precedente e il seguente: solo gli estremi si configurano, di volta in volta, sotto specie particolari diverse.
Ma, nel crogiuolo di un tale sistema, tutti gli elementi dello spettacolo si trasformano, assumono valori nuovi. e insospettati. Il teatro viene vivisezionato: non di una riforma si tratta, ma di una negazione totale che lascia il posto ad una utopia altrettanto radicale. Il teatro del futuro non è il futuro del teatro: “Prima o poi arriveremo a quel che si chiama «La Scala», cattedrale dell’avvenire, che accoglierà le manifestazioni più diverse della nostra vita sociale e artistica in uno spazio libero, vuoto, trasformabile, e sarà il luogo per eccellenza in cui l’arte drammatica fiorirà con o senza spettatori… L’arte drammatica di domani sarà un atto sociale al quale ognuno darà il suo apporto.”

Adolphe Apple nasce a Ginevra nel 1862. La sua vita, pressoché priva di grandi accadimenti esteriori, cela le idee, i sogni, le sconfitte di un uomo, un “malato di nervi”, che la società respinge in una casa di cura. In queste case, chiamate meno eufemisticamente manicomi, ritorna periodicamente sino alla morte nel febbraio 1928.
Oltre a quelle della pubblicazione delle sue tre opere, le altre date della vita di Appia segnano il suo incontro con la Ritmica di Dalcroze (1906), le sue messe in scena, fra il 1923 e il 1925, del Tristano e Isotta, dell’Oro del Reno e della Walkiria (la prima alla Scala di Milano, con Toscanini), e – fra il 1909 e il 1927 – una lunga serie di esposizioni in tutta Europa dei suoi disegni e bozzetti.

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